Page 193 - Sbirritudine
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«Siamo stati bene senza di lei» dissi. «Peccato che ritorni qui. Magari
              poteva  chiedere  di  andarsene  da  un'altra  parte.  Le  cose  ormai  sono

              cambiate molto.»
                 Cercavo di attaccarla, ma lei rimase calma: «Io devo rendere conto a

              chi sta sopra di me. Non pretendo che tu capisca i miei comportamenti,
              ma non sai quante volte ti ho protetto».

                 «Lei  a  me?  Forse  si  confonde  con  qualcun  altro.  Io  credo  che  lei
              abbia protetto solo se stessa, finora.»

                 «Non torno in servizio qui» disse.

                 Una buona notizia, pensai. «Come mai?» chiesi.
                 «Mi hanno affidato un compito molto delicato.»

                 «E quale?»

                 «Comandare  un  squadra  per  la  cattura  di  Michele  Sciacca.  Una
              squadra speciale, quindici poliziotti scelti da me, in totale autonomia.»

                 Mi  fissò  compiaciuta.  Dovevo  avere  la  faccia  alluccùta:  Michele
              Sciacca  era  latitante  da  trent'anni.  Corleonese.  Uno  dei  capi  assoluti.

              Uno che aveva ucciso, direttamente e indirettamente, più di chiunque
              altro. Inafferrabile, temutissimo. Si diceva che vivesse all'estero. Non
              c'era  una  sua  traccia  da  anni,  in  Sicilia.  E  la  Patania  avrebbe  dovuto

              catturarlo?  Proprio  lei,  che  andava  a  pranzo  con  Agatino  Tortorici?
              Tortorici,  sottocapo  di  Bellingeri?  Bellingeri,  intimo  dei  capi
              corleonesi, quindi intimo di Michele Sciacca? Lei doveva prendere uno

              per cui, in pratica, lavorava? Avevo fatto bene a tenere per me la storia
              del cellulare di Bellingeri: stava succedendo qualcosa. Ormai non c'era
              più  differenza  tra  Stato  e  mafia,  con  la  nomina  della  Patania  a
              cacciatrice di superlatitanti il cerchio si era chiuso.

                 La guardavo. Zitto. Pensavo, o almeno ci provavo. Lei non sapeva

              che sapevo, ora ne ero certo. La conferma mi arrivò quando mi chiese
              una cosa incredibile: «Vuoi fare parte di questa squadra?».

                 Stavolta mi alzai in piedi.
                 «Tu  sei  uno  bravo»  mi  disse.  «Con  te  al  mio  fianco  lo  possiamo

              prendere. Possiamo colpire la mafia duro, come hai sempre cercato di
              fare tu.»

                 Era  impazzita,  o  era  molto  furba.  Se  non  avessi  saputo  chi  era
              veramente,  forse  avrei  accettato.  E  come  prima  cosa  lei  mi  avrebbe
              spostato da Prezia e mi avrebbe mandato a dare la caccia a un fantasma:
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