Page 194 - Sbirritudine
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perché la Patania non avrebbe mai cercato Sciacca sul serio, di questo
ne ero certo.
«La ringrazio, ma non fa per me. Ci vogliono menti fini per fare
quello che sta per fare lei. E io sono solo uno sbirro di provincia. Ma
grazie.»
Lei non era sicura, non sapeva come prendere il mio rifiuto secco.
Provò a insistere.
Le sorrisi e uscii dalla stanza. Vaffanculo. Ma come ragionavano?
Perché davano alla Patania quel ruolo? Era chiaro che non volevano che
quella guerra finisse davvero. Perché la guerra conveniva a tutti:
ingrassa chi la combatte, gli fa fare carriera, li fa finire sui giornali. Li
fa diventare questori, prefetti e ministri. La nomina della Patania
significava solo una cosa: che la guerra in realtà non era mai iniziata.
La lotta alla mafia era stata solo una recita in cui qualcuno del pubblico,
ogni tanto, veniva ammazzato. Ma gli attori principali sarebbero vissuti
per sempre.
Uscii dal commissariato come una furia. Nel parcheggio, Renzo mi
fermò per un braccio.
«Dove vai?» mi chiese. Non ci parlavamo da un sacco di tempo. Si
era ripreso, non aveva più le occhiaie e l'aria da scappato di casa.
Doveva aver smesso di bere. Era più magro e si vedevano i muscoli
sotto la camicia. Era in tiro. Ma non avevo voglia di parlare con lui.
«Che hai risposto?» mi chiese ancora.
«Che ho risposto a chi?»
«Alla Patania.»
Fu peggio che se mi avessero sparato alle spalle. Mi sentii la carne
scivolarmi sulle ossa. Era lui il traditore. Era lui che passava le
informazioni alla Patania. Era lui che si era venduto.
«E tu che cazzo ne sai che la Patania mi doveva chiedere qualcosa?»
Lo afferrai per il collo, ma non avevo forza nelle braccia. «Renzo, che
minchia hai combinato?» gli sussurrai disperato.
Lui rimase in silenzio, non riusciva a guardarmi negli occhi. Erano
tutti venduti. Erano tutti attori. Lo lasciai e me ne andai.
«Fermati» mi gridò, «ti posso spiegare.»
«Noi non siamo più niente» gli dissi senza voltarmi.