Page 187 - Sbirritudine
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Studiai e ristudiai quella ragnatela di contatti e la sovrapposi a una
              cartina  della  Sicilia:  quello  era  il  sistema  di  relazioni  di  Bellingeri.

              Quella era la fotografia aerea della sua catena di comando. Se avessimo
              beccato  un  altro  intestatario  inconsapevole  di  trenta  schede,  forse
              avremmo  preso  il  boss.  L'unico  problema  era  che  in  realtà  il  centro
              della rete era un finto centro: Bellingeri aveva dato il cellulare al padre

              di Colonna. Al centro della ragnatela non c'era il boss, ma un sostituto.
              Era un sistema impenetrabile.

                 Una cosa era certa: Colonna non mi aveva mentito. Ero certo che non
              si volesse pentire, l'avevo capito subito: era un uomo d'onore tutto d'un
              pezzo.  Ma  era  troppo  incazzato  per  la  morte  di  suo  padre.  E  forse

              potevo ancora contare su quella rabbia.

                 Andai  a  trovarlo.  Stavolta  mi  fece  entrare  in  casa.  Mi  disse  che  i
              nostri incontri stavano diventando un'abitudine.

                 «Volevo aggiornarti» spiegai, ma lui non volle sapere niente.
                 «Questa è l'ultima volta che ci vediamo» esclamò mentre prendeva

              una  bottiglia  di  rosolio.  Riempì  due  bicchieri.  Me  ne  passò  uno.  Poi
              bevve, si alzò in piedi e disse: «Alla tua. Questi incontri finiscono qua».

                 Colonna  era  la  mia  unica  possibilità  di  arrivare  a  Bellingeri.  Lui
              aveva  fiducia  in  me,  mi  aveva  dato  il  cellulare  del  boss.  Mi  aveva
              riferito della Patania. Forse mi aveva voluto sprovare e lo avevo deluso.

              Si era voluto servire di me ma aveva capito che non gli ero utile? O
              forse era stanco e disfiziàto? Aveva perso un padre,  era stato tradito.
              L'aveva detto lui che era solo, perché i suoi non si fidavano di lui. Non

              era più dentro Cosa Nostra, era stato canziàto. Lavorava all'officina, si
              occupava dei suoi cani e si rintanava in quella casa che pareva un forte.
              Non aveva una moglie né una compagna. La sua vita era diventata un

              vicolo  cieco.  L'unica  cosa  che  gli  restava  era  la  vendetta.  Era  molto
              legato a suo padre. Dovevo provocarlo. Ma lui andò alla porta: il mio
              tempo era scaduto. La partita era finita.

                 Mi alzai e mi avviai verso l'uscita. «Hai detto che tuo padre ha avuto
              a che fare con Rizzitelli e Patalèo?» dissi distaccato. Era l'ultima carta

              che mi potevo giocare. Lui non rispose niente, si limitò ad aprirmi la
              porta. Ma aveva guardato a terra: un istante. Uno spiraglio.

                 «Quelli con la divisa sono i peggiori» continuai uscendo fuori. «Ci ho
              avuto  a  che  fare  tutta  la  vita  con  poliziotti  e  carabinieri. Anche  mio
              padre era poliziotto, come me. E sono stati i suoi colleghi a deluderlo.
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