Page 183 - Sbirritudine
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«Di chi è?»
«Mio padre lo teneva per conto di Bellingeri.» Minchia, pensai.
«Riceveva le chiamate per il boss, poi gliele riferiva a voce. La scheda
e il cellulare venivano cambiati ogni mese. Questo è l'ultimo che hanno
consegnato a mio padre prima che lo ammazzassero.»
«Perché lo stai dando a me?»
«Perché io non riesco ad arrivare agli assassini. Ci ho provato, ma c'è
una guerra in corso. Cosa Nostra è chiusa a riccio. Nessuno parla. Gli
altri non si fidano di me perché sono il figlio di un morto: o muoio o
ammazzo. Sono solo. E poi chi mi dice che mio padre è stato
ammazzato dai miei?»
«Che vuoi dire?»
«Che forse è stato ammazzato dai tuoi.»
«Dai miei?»
«Mio padre lavorava con i marescialli Rizzitelli e Patalèo» disse
Colonna. «E quella è roba tua. Usalo tu, il cellulare: magari prendi gli
assassini.»
«E se invece prendo il boss?»
Lui mi guardò. Sollevò il manichino sbrindellato da terra, e i cani
iniziarono ad abbaiare.
«Mio padre era un pezzo grosso. A dare l'ordine dev'essere stato
Bellingeri. Chi poi l'abbia eseguito non lo so. Se non è così, vuol dire
che Bellingeri non conta più una minchia. In ogni caso, o tradisco
l'assassino di mio padre o uno che vale come un due di coppe quando la
briscola è a spade.»
Recuperai la mia auto, comprai una birra e andai alla caletta in cui
festeggiavamo con i colleghi. Non avevo compagnia, ma c'era da
festeggiare eccome: avevo in mano la chiave per arrivare a Bellingeri.
Io ero solo, ma anche il boss lo era. Uno contro uno. Mi misi in tasca il
cellulare di Colonna e brindai.
L'indomani non raccontai a nessuno del cellulare, non sapevo come
muovermi. Dovevo controllare i numeri delle chiamate in entrata e in
uscita, ma farlo significava chiedere i permessi di intercettazione,
quindi indagine ufficiale. E conseguente rischio di fuga di notizie. In
più, la gola profonda del commissariato non l'avevo ancora trovata.
Certo, la notizia dell'indagine sul clero non era stata divulgata fino a