Page 180 - Sbirritudine
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auto e guidai in direzione di Trapani: non volevo che ci vedessero
insieme. Milena mi raccontò che Loredana stava male. Avrebbe voluto
che la gente capisse che la Chiesa era marcia, voleva un rinnovamento,
non un insabbiamento. Provai a calmarla, le dissi che avevamo fatto il
possibile. Milena insistette: glielo dovevamo, loro si erano esposte,
erano sole. E avevano perso il lavoro. Non sapevo cosa rispondere.
Avevano parlato e avevano perso tutto. Forse non era molto: un lavoro
mal pagato, ingiustizie, violenze, ma le loro famiglie nel bene e nel
male ci campavano. E ora era finita, l'azienda era finita. Ed era colpa
loro.
La lasciai a casa di una sua amica trapanese e tornai a Prezia. Dovevo
fare qualcosa. In commissariato mi attaccai al telefono, chiamai alcuni
colleghi che si occupavano di scorte in cerca di qualcuno che
proteggesse un giornalista. Parlai con Salvo Pirrone di Messina, ma il
suo giornalista era uno che aveva ritrattato mille volte e che se la faceva
con i politici. Non andava bene. Per uno così la scorta era come avere
degli autisti di Stato. Neanche i colleghi Antonello Cracolìci e Luca
Collica mi poterono aiutare: il primo proteggeva un giornalista in piena
depressione, che si faceva di psicofarmaci dalla mattina alla sera.
Quello del secondo era ricattabile: andava a trans e la Polizia lo
scortava. Finalmente beccai Marco Bisacquino. Lui proteggeva un
giornalista con i controcoglioni. Scriveva dalla mattina alla sera, contro
la mafia, contro lo Stato, contro la Chiesa. E nessuno gli pubblicava più
un cazzo. Era perfetto.
L'indomani andai da lui ad Agrigento. Il mio collega Bisacquino mi
fece entrare in casa. Il giornalista si chiamava Enrico Todaro. Secco
come una vigna d'inverno, pallido come un foglio di carta. In pigiama.
Mi disse che aveva smesso di vestirsi perché tanto non usciva più: i
pigiami erano più pratici e comodi. Gli confidai che avevo bisogno di
aiuto. Gli raccontai dell'indagine, gli mostrai qualche appunto, dei
documenti fotocopiati e gli articoli usciti sui giornali locali. Gli spiegai
che mi serviva qualcuno che unisse i puntini al posto mio e che
mostrasse la figura a tutti. «Il lampo già c'è stato» gli dissi, «io ora
voglio il tuono.»
Lui mi spiegò che gli scoop giornalistici in Italia non vengono presi
in considerazione: «Il nostro giornalismo è diverso da quello degli altri
Paesi. È un mestiere di opinioni, di ragionamenti, chi scrive è convinto
che la gente voglia sapere la sua idea su quella faccenda. Uno scoop