Page 179 - Sbirritudine
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famiglia  più  numerosa  della  mafia,  forse  la  più  grande  di  tutto  il
              mondo.  Mille  affiliati,  armati  e  fedeli  al  loro  re.  Un  re  che  è  uomo

              fidato,  amico  fraterno  e  suddito  dell'imperatore  di  tutta  la  Sicilia:  il
              capo dei corleonesi. È notte inoltrata, ma qui è pieno di gente. Il resto
              della  Sicilia  è  al  buio;  qui,  invece,  ci  sono  ragazzi  e  ragazze  che
              scherzano, bevono, fanno casino. Passo tra loro come un fantasma: uno

              come me, qui, non c'entra niente. Mi ignorano, e li capisco: alla loro età
              anch'io avrei ignorato uno come me. Sono lontanissimo da Bonifacio,
              da  mia  moglie  e  dai  miei  figli,  dal  mio  letto,  dalla  telefonata  che

              arriverà domani mattina. So già cosa mi chiederanno. Ma non so ancora
              cosa risponderò.




                 Anche quel giorno aspettavo una chiamata, ma non ne fuggivo. Anzi,

              circondavo  il  telefono  del  mio  ufficio,  ci  giravo  intorno,  ma  la
              telefonata  non  arrivò  mai.  Nessuno  sembrava  interessato  alla  notizia
              degli arresti dei preti e delle suore. Neppure un giornalista chiamò, era

              come  se  non  fosse  successo  niente.  Ogni  parrocchia  discuteva  della
              cosa ai tre angoli della Sicilia, ma a livello regionale nessuno ne sapeva
              niente. C'era stato un arresto a Libello, uno a Ferràino, uno a Dogali,
              uno a Maràino, uno a Lorano, uno a Vìccia, uno a Serra. Alla fine erano

              sempre duecentocinquanta, ma presi uno a uno non facevano numero.
              Erano casi isolati, non meritavano la prima pagina e neanche l'ultima. Il
              terremoto era rientrato: era l'accordo fra la Chiesa e qualcuno che stava

              sopra di noi. Una trattativa veloce veloce tra Stato e clero. Ma io volevo
              che Loredana e Milena potessero vedere e sentire quello che avevano
              contribuito a fare. Avevano saputo dell'arresto di Vassallo, ma non era
              sufficiente: volevo che si rendessero conto anche del resto. Ne parlai

              con Spada. Lui  mi disse che  ce l'eravamo cavata bene, che avevamo
              fatto un buon lavoro. E poi che a me non era mai interessato se la gente
              sapesse o no.

                 «Stavolta sì» dissi. «Voglio che questa cosa si sappia.»

                 «Non  possiamo  fare  niente»  mi  rispose.  Il  magistrato,  il  questore,
              tutti gli avevano chiesto di tenere un profilo basso. Il terremoto sì, ma

              in silenzio.
                 Quella notte Milena mi venne a cercare fuori dal commissariato. Era

              un'imprudenza che avrebbe potuto pagare caro. La feci salire sulla mia
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