Page 161 - Sbirritudine
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l'indomani, mi misi il costume, una maglietta e un paio di sandali e li
              salutai, come se piantarli a casa e andarmene al mare, alle otto di un

              sabato mattina, fosse la cosa più naturale del mondo. Passai a prendere
              Cripto e ci dirigemmo verso San Leone.

                 Sul  lungomare  impiegammo  mezz'ora  per  trovare  un  posteggio,
              assordati da orde di ragazzini che urlavano, sfrecciavano con i motorini,
              si inseguivano e si lanciavano pallonate. Individuammo il lido Karaoke

              e,  bianchi  come  due  forme  di  ricotta,  strizzati  nei  nostri  costumi,  ci
              piazzammo  a  un  tavolino  del  bar.  Sembravamo  due  scappati  di  casa.
              Non  sapevamo  di  che  parlare.  Imbarazzati  come  adolescenti  che
              aspettano due amiche al primo appuntamento. Dopo un po', Cripto andò

              a comprare «La Gazzetta dello Sport» e sprofondò in un'attenta lettura.
              Io mi guardavo intorno e mi chiedevo chi me l'avesse fatto fare.

                 Un quarto d'ora dopo le dodici, quando già ero pronto a tornarmene a
              casa, vidi due ragazze che ci facevano segno da lontano. Una era sulla
              trentina,  bionda,  fisico  asciutto,  gambe  lunghe  e  un  viso  provocante.

              L'altra era sui venticinque, alta, mora, sembrava una velina. Quando le
              indicai  a  Cripto  per  poco  non  gli  venne  un  infarto.  «Minchia»  disse
              solo.  Ci  alzammo  dal  tavolo,  pagammo  i  cinque  caffè  freddi  che  ci

              eravamo  bevuti  nell'attesa  e  le  raggiungemmo.  La  sabbia  bruciava
              maledettamente,  ma  Cripto  aveva  assunto  l'espressione  da  màsculu
              siculu,  quella  che  niente  e  nessuno  lo  smonta.  Gli  sussurrai  che  era
              sposato e che avrebbe fatto meglio ad allattariàrsi di meno. «Pure tu sei

              sposato, non mi scassare» mi rispose.

                 Cripto non si era portato neanche un telo, quindi distesi il mio – che
              era della grandezza di un asciugamano per il viso – e ci sedemmo uno
              accanto  all'altro.  Faceva  così  caldo  che  le  nostre  cosce  appiccicate  e
              bianche  come  quelle  di  un  pollo  bollito  iniziarono  a  sudare.  Le  due

              ragazze,  abbronzate  come  in  uno  spot  pubblicitario,  ci  guardavano
              imbarazzate.

                 «Eccoci» esordì Cripto sicuro di sé, «che possiamo fare per voi?»

                 «Veramente  è  con  lei  che  volevamo  parlare»  disse  la  bionda
              indicandomi. Cripto agghiacciò.

                 «Come mi conoscete?» chiesi.

                 «Noi vorremmo sapere se, ecco… se ci possiamo fidare» continuò la
              ragazza guardando Cripto. Lui stava per alzarsi, ma lo fermai.

                 «Siamo come fratelli» dissi. La mora, la più piccola, fece un po' di
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