Page 156 - Sbirritudine
P. 156
con nessuno, tutto quel veleno che mi si era accumulato nel sangue.
Respirai.
«Scusa» dissi poi. «Mi dispiace, non dovevo tirare in ballo queste
cose. Non c'era motivo.»
Lui mi sorrise come faceva lui, con tutta la faccia e il corpo.
«E daje» replicò, «me continui a trattà come un pischello!»
«Hai ragione, sei tu il dirigente. Anzi» mi corressi, «è lei il
dirigente.»
Lui mi diede una pacca sulla spalla. «Facciamo così. Dov'è 'sto
fascicolo Sole?»
«L'originale non lo so, ma io ho fotocopiato tutto.»
«Non ti prometto niente» mi disse, «però fammi dare un'occhiata
all'incartamento. Ho qualche amico magistrato. Gente di cui mi fido.
Vediamo se riusciamo a far riprendere il mare a questa indagine.»
Parlava sempre del mare, Spada. Diceva che era il suo elemento. Che
in un'altra vita doveva essere stato un pesce. Il fatto di essere su un'isola
lo faceva impazzire di gioia: voi ce l'avete tutto intorno, diceva.
Dovunque andiate, ci trovate sempre il mare.
29
Ormai avevamo tagliato tutta l'erba del sottobosco. Restavano solo i
grossi tronchi da segare. La squadra era sfinita, quel ritmo ci stava
massacrando. Eravamo arrivati a trenta arresti in un mese: stavamo
rivoltando Prezia.
Casco e l'Incatramato iniziarono a lamentarsi. Correvamo, ma
perché? Facevamo il lavoro di almeno trenta poliziotti ed eravamo solo
in sette. Io a casa, a volte, non ci tornavo per tre giorni di fila. In
commissariato avevamo allestito una stanza attigua all'archivio, con
due letti a castello e un fornelletto per caffè e pasta, come una piccola
caserma. Intanto, le indagini sugli uomini d'onore erano a un punto
morto, pareva che a Prezia Cosa Nostra si fosse ritirata in pensione.
Quella calma era pericolosa, lo sapevo.