Page 153 - Sbirritudine
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Nei giorni successivi feci i turni di lavoro più massacranti della mia
              vita, ma anche i più belli. Cominciavamo all'alba e staccavamo dopo la

              mezzanotte.  Spada  si  era  messo  in  testa  di  chiudere  tutti  i  casi  in
              sospeso  prima  che  tornasse  la  Patania:  voleva  dimostrare  di  essere
              bravo. Era il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene, praticamente si
              trasferì in stanza con noi. Eravamo noi dell'investigativa il motore del

              commissariato. Studiò tutti gli organigrammi delle famiglie mafiose che
              avevamo  stilato  e  che  aggiornavamo  quotidianamente.  Ogni  notizia,
              imbeccata  o  soffiata  finiva  nel  pannello  con  la  mappa  di  Prezia  e

              dintorni.  C'erano  segnate  le  abitazioni  degli  uomini  d'onore,  dei  loro
              fratelli e dei loro amici. I luoghi di riunione in cui erano stati visti, le
              zone  calde  dello  spaccio,  gli  avvistamenti  dei  latitanti.  Era  la  mappa
              criminale del paese.

                 Spada si attaccò al telefono con i magistrati e li tormentò finché non

              ottenne quanti più mandati possibile. In una sola settimana effettuammo
              dieci arresti: detenzione illegale di stupefacenti e di armi, rapine, usura.

                 Un lunedì mattina, alle otto, ricevemmo la chiamata di un contadino.
              Aveva trovato dei resti organici carbonizzati in un pozzo. Io e Spada,
              che ormai passavamo più tempo sulle strade che in ufficio, corremmo

              sul posto e arrivammo proprio mentre stavano tirando fuori il corpo con
              delle corde. Quell'ammasso informe doveva essere stato un uomo, lo si
              capiva dalla corporatura. I suoi assassini avevano provato a scioglierlo
              nell'acido,  ma  poi  dovevano  essere  stati  interrotti  da  qualcuno  o

              qualcosa e lo avevano portato via. Giunti vicino al pozzo, gli avevano
              dato  fuoco  e  poi  lo  avevano  gettato  dentro.  Alla  vista  del  cadavere
              martirizzato, Spada trattenne un conato di vomito. Sembrava il torsolo

              morsicato di una mela. Gli mancavano una gamba e tutt'e due le mani.
              Era gonfio e nerastro. Il viso era una sfera liscia, senza naso, mento,
              occhi, capelli e orecchie. Sembrava il manichino di un sarto. Mi voltai

              verso Spada, ma era sparito: era andato a vomitare.
                 Quando lo raggiunsi, gli chiesi se fosse tutto a posto. Mi confidò che

              era il secondo cadavere che vedeva nella sua vita.
                 «Ma che bestie sono, quelli che l'hanno ridotto così?» mi chiese.

                 «Temo  che ci sia  una relazione con la  morte del padre di un certo

              Baldo Colonna, un uomo del clan Bellingeri» gli spiegai.
                 Spada mi domandò come facessi a restare indifferente. «Anche io un

              giorno mi abituerò a spettacoli come questo?»
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