Page 146 - Sbirritudine
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Patania aveva sfarfallato, ma a noi non ce ne fregava niente. Dovevamo
continuare a fare il nostro lavoro. Casco se ne venne fuori con una
notizia confidenziale strampalata: un amico di un amico di un suo
cugino gli aveva detto che c'era una casa sul lungomare di Prezia in cui
si organizzavano dei festini a luci rosse. Scoppiammo a ridere e Casco
diventò tutto rosso: era chiaro che in quella casa ci era finito proprio
lui. Intuendo i nostri pensieri, iniziò a tirare fuori mille scuse diverse,
mancava solo che dicesse che il suo cane si era rotto una zampa dopo
che sua nonna era morta e poi le avrebbe esaurite tutte. In ogni caso, era
quello che ci voleva: un servizio per distrarci. Dissi a Casco che per noi
andava bene un sopralluogo per dare un'occhiata. Era quello che ci
eravamo ripromessi di fare tutti: tenere gli occhi sempre aperti e portare
continuamente notizie alla squadra.
L'indomani notte ci piazzammo nei pressi dell'unica via che portava
alla villa. Nel giro di un paio d'ore contammo almeno trenta auto di
grossa cilindrata che sfrecciavano verso il festino. Alle tre piazzammo
un posto di blocco a circa cinque chilometri dalla casa. Non volevamo
beccare tutti i pesci, solo quelli più pregiati: qualche spigola o magari
qualche bel sarago. Una BMW per poco non ci investì, il guidatore era
talmente sballato che non ci aveva visto. Si chiamava Rosario Gigante,
avvocato palermitano. Coniugato. Almeno così c'era scritto sulla sua
carta di identità. La sua accompagnatrice, contrariamente a quanto
dicevano i suoi documenti, era tutto fuorché di Cremona. Gli chiesi se
fosse la sua signora.
«Questa troia qui, mia moglie?» Scoppiò a ridere. Non riusciva a
fermarsi, dovette scendere dall'auto. Lei, poverina, si sentiva
imbarazzata. Le chiesi scusa a nome dell'avvocato stronzo e la pregai di
scrivermi su un foglio il suo vero indirizzo di residenza. Lei tentennava,
ma Gigante non la smetteva di sghignazzare.
«Ho bisogno solo di parlarti» le dissi con calma. Lei mi fissò a lungo,
poi scrisse qualcosa sul foglietto e me lo passò. Li lasciammo andare.
Il giorno dopo, di mattina, io e Cripto decidemmo di fare un
sopralluogo. La villetta era isolata, a picco sul mare, poggiava su uno
sperone di roccia e intorno aveva un muro alto. Riuscire a sorvegliarla
era impossibile senza essere visti. Cripto si era portato delle canne da
pesca, insisteva per inscenare una copertura. Lo accontentai e
scendemmo in una caletta portandoci dietro lenza ed esche. Trovammo