Page 145 - Sbirritudine
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«Nessun problema, dottoressa, è tutto normale» rispose Cripto.
Ma la Patania fiutò la preda e gli fece pelo e contropelo: «Perché
parli proprio tu? Cosa ti fa pensare che sei tu il problema? Come mai
metti le mani avanti?».
Cripto non sapeva che rispondere, era sul punto di incazzarsi. Capii il
gioco della Patania: era me che voleva colpire. Ma aveva deciso di farlo
indirettamente, divertendosi prima con i miei colleghi. Voleva sprovarli
per capire cosa sapevano. Intervenni, chiesi alla Patania di restare solo
con lei. Lei fece un sorriso tirato, congedò gli altri e si sistemò comoda
sulla sedia.
«Allora» mi disse, «che cosa c'è che non va?»
«Niente, dottoressa» risposi.
«E quindi perché mi ha chiesto di far uscire i suoi colleghi?»
«Perché stava esagerando.»
«Come si permette?» Scattò in piedi come una molla.
«Ha capito bene» continuai, «lei sta esagerando. Ma come, noi le
stiamo facendo fare carriera e lei ci tratta pure male?»
«Ma che sta dicendo?»
Ora era meno sicura. Non aveva più il controllo. E affondai il colpo:
«Non è vero che ha chiesto lei di venire qui per fare una carriera veloce
sulle nostre spalle?».
«Chi le ha detto queste cose?» Era scantàta.
Mi alzai in piedi. «Diciamo che le ho sapute.»
«Lei non sa niente!»
«E allora non c'è nessun problema» risposi calmo senza smettere di
fissarla negli occhi. Uscii dal suo ufficio senza salutarla. Non potevo
fare di più. Se mi fossi spinto oltre mi avrebbe potuto far trasferire.
Così, invece, non aveva modo di appigliarsi a niente: io avevo uno stato
di servizio ineccepibile, il mio lavoro parlava per me. Ma ora lei sapeva
che sapevo. O, se non altro, sospettava che avessi scoperto qualcosa.
Cosa, e da chi, non lo poteva capire. Era una tregua armata, ma almeno
non avrebbe fatto cazzate giocando sporco contro di noi: non capiva più
di chi fidarsi, né tra i suoi amici di Cosa Nostra né tra gli eventuali
colleghi che dall'alto l'avevano aiutata.
Feci una riunione con i ragazzi dell'investigativa e li rassicurai. La