Page 139 - Sbirritudine
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ne sappiamo fare. È vero o no?»
«Non lo so più» mi disse. «Ogni volta che operiamo in servizio
comincio a stare male. Mi fa male il cuore, poi mi viene da svenire.
Non riesco a respirare. Mi sembra di morire, non ce la faccio più.»
«E come soluzione hai iniziato a bere?»
«Almeno mi dimentico di avere paura.»
«Paura di che?»
«Di ricominciare a star male. Capisci? Ho paura di avere paura. Sono
diventato una minchia.»
«Facciamo così» gli proposi, «stasera te ne torni a casa, che tua
madre sta morendo di crepacuore. Domani ti fai una doccia e ti levi
questa barba, che ti sta una picàta. Vieni al lavoro, chiedi scusa a
Tacconi e gli offri il caffè. Poi vedrai che sistemiamo tutto con la
Patania.»
«Che vuol dire sistemiamo tutto?»
«Ci parlo io con lei.»
«E che le dici?»
«Che la squadra investigativa ha bisogno di mettere a punto
l'archivio. Le dirò che così com'è è un casino e i tre che ci lavorano non
bastano. Ci serve uno bravo, uno che ha operato sulle strade e che sa
come è meglio catalogare le informazioni. E farò capire che tu sei il
migliore. Mi priverò del collega più bravo, perché so che farà un ottimo
lavoro. Le dirò che è solo per qualche mese, ma poi vedrai che faremo
in modo che tutto resti com'è.»
Renzo aveva gli occhi lucidi. «Mi dispiace. Pensavo che avremmo
combattuto insieme fino alla fine.»
«E lo faremo» risposi. «Solo in maniera diversa.»
Mi abbracciò. Minchia, pensai, senza Renzo la squadra investigativa
rischia di andare a schifìo. Gli altri erano bravi, ma non come Renzo.
Mentre ci abbracciavamo realizzai che Pitafi aveva avuto ragione anche
in questo: ero solo.
L'indomani parlai con la Patania e filò tutto liscio. Una cosa era
sistemata. Nel pomeriggio tornai a trovarla con la scusa di farle firmare
delle carte e le chiesi, come se fosse tutto normale, come era andata con
Colonna.