Page 138 - Sbirritudine
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Quando le chiesi di lui, mi disse che era uscito. Da qualche parte dentro
              la casa, sentii la madre piangere.

                 «Da quanto non torna?» chiesi. Sua sorella cercò di resistere, ma alla
              fine  cedette  e  mi  disse  che  non  vedevano  Renzo  da  tre  giorni.  Era

              andato via dopo una lite con la  madre. Si era  messo a fare come un
              pazzo e aveva sfasciato mezzo salotto. Aveva pure rischiato di colpire
              sua madre con una sedia.

                 «Riportacelo» mi pregò.

                 «Ci provo.»

                 C'era  un  solo  posto  dove  poteva  essere:  alla  nostra  spiaggetta.  Di
              sicuro si riforniva di viveri dal solito fruttivendolo aperto 24 ore su 24.
              Conoscendolo, dormiva in macchina: Renzo era uno pratico. Che cazzo
              gli era successo? Perché era infuddìto? Guidai fino al mare e, quando

              vidi la sua auto, scesi facendo sbattere forte lo sportello. Volevo che mi
              sentisse.  Se  era  ubriaco,  capace  che  mi  sparava  addosso  appena  mi
              vedeva, e Renzo sparava bene. Scese anche lui dalla sua macchina. Non

              riusciva a restare dritto, pareva che cercasse di tenersi in equilibrio su
              una fune.

                 «Che minchia fai?» gli chiesi.

                 «Me la mìno» mi rispose.
                 «Un vero signore.»

                 «Parlò il barone.» Mi venne incontro. Ma rischiò di cadere dopo due

              passi e si appoggiò allo sportello.
                 «Mi devi dire qualcosa?».

                 «Niente.»

                 «Sono stato a casa tua.» Mi fissò. Era incazzato, ma non ce l'aveva
              con me. Ce l'aveva con se stesso. «Se hai problemi parlane con me» gli
              dissi.

                 «Ti sei fatto prete?»

                 «Non lo sai che noi sbirri siamo bravi a farci i cazzi degli altri?»

                 «Fare lo sbirro mi sta ammazzando» mi rispose.

                 «È  il  vero  scopo  del  nostro  lavoro,  non  lo  sai?  Farci  ammazzare.»
              Volevo alleggerire la tensione, ma lui era un fascio di nervi.

                 «Questo lavoro mi sta ammazzando davvero» ripeté.

                 «E che possiamo fare? Tu sei sbirro come lo sono io. Altri lavori non
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