Page 137 - Sbirritudine
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Guardo le navi container entrare al porto di Messina. Sta iniziando a
              piovere. Anche se sbrizzìa, scendo dalla macchina e mi volto verso la

              terraferma. Prezia da qui è lontanissima, duecentocinquanta chilometri.
              Una vita.

                 Se salissi su un traghetto in mezz'ora sarei lontano da tutto. Ma non
              esistono traghetti che possano davvero portarmi via.




                 Renzo  era  salito  in  macchina  ed  era  fuggito.  Inseguirlo  non  era  la

              cosa migliore da fare. Era sovreccitato. Incazzato. E ubriaco. Stavo per
              rientrare in commissariato, quando Baldo Colonna mi venne incontro.

                 «Se  volessi  ammazzare  qualcuno  non  userei  mai  delle  armi
              denunciate» mi disse.

                 «Io eseguo degli ordini» risposi.

                 «A quanto pare lei gli ordini se li crea.» Non disse altro, salì sulla sua
              auto e se ne andò.

                 Che aveva voluto dire? Aveva parlato con la Patania. Ma da lei per
              chiedere il sequestro delle armi c'era andato Arancina. Evidentemente
              aveva capito che dietro quella richiesta c'ero io. Era per questo che non

              si  fidava  di  me,  perché  facevo  di  testa  mia?  Ma  perché  condividere
              quell'informazione con Colonna?

                 Mi ricordai di come Baldo aveva rimproverato il mio collega di Porto
              Restivo. Aveva fatto lo stesso con la Patania, quando erano rimasti soli?
              Ma  chi  cazzo  era  davvero  questo  Colonna?  La  mia  squadra

              investigativa  era  stata  scavalcata,  e  la  Patania  gestiva  un  suo  giro  di
              informatori che condivideva con altri colleghi. Erano per forza di fuori
              Prezia. Forse quelli di Porto Restivo. Quindi esisteva un livello a me

              inaccessibile?
                 Evitai la Patania: non volevo che sapesse che quello che era successo

              negli ultimi giorni mi aveva squietàto. E, soprattutto, non volevo che mi
              chiedesse di Renzo. Quella faccenda me la dovevo risolvere da solo.

                 Parlai con Tacconi. Aveva un occhio nero. Gli dissi che erano cose
              normali  tra  colleghi  e  lui,  come  risposta  alla  malaminchiàta  che  gli
              avevo detto, fu sul punto di colpirmi. Ma lasciò perdere. Mi chiese solo

              di far capire a Renzo che ci era rimasto male. La sera andai a casa di
              Renzo. Mi aprì la porta la sorella; aveva gli occhi rossi. Aveva pianto.
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