Page 95 - Prodotto interno mafia
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è stata un meccanismo di distorsione del mercato del lavoro. Il
pubblico ha una cultura del lavoro profondamente diversa da
quella industriale. Si manifesta come un apparato che
distribuisce risorse per alimentare il sistema assistenziale e
clientelare, non per dare servizi.
I governi hanno paradossalmente favorito il sommerso in Italia
attraverso iniziative e leggi nate per contrastarlo. Pensiamo alla
legge sui braccianti agricoli e forestali che prevede un sussidio di
disoccupazione annuale se si lavora per pochi giorni all’anno.
Quanti lavoratori sono stati assoldati «a nero» avendo la garanzia
di un sussidio?
Secondo gli ultimi dati Istat del 2008, il mercato del
sommerso in Italia vale circa 260 milardi di euro, il 17 per cento
del Pil nazionale. Economisti molto autorevoli, come il
vicepresidente della Fondazione Edison Marco Fortis,
affermano che è anche grazie al «tesoretto sommerso» degli
italiani se il paese non è stato travolto dalla crisi come è
accaduto a Stati Uniti, Portogallo, Grecia.
Il punto è che in Italia prevale ancora l’idea che in un paese
economicamente debole il sommerso sia una specie di
ammortizzatore sociale, non capendo che invece distrugge posti
di lavoro veri, duraturi e che indebolisce le aziende attive sul
mercato. La tolleranza nei confronti del fenomeno è un’idea
malsana, un modo per non misurarsi con il mondo vero. È
incomprensibile la declamazione retorica della lotta per
l’emersione e la sostanziale incapacità di risolvere il problema,
perché basterebbero dinamiche reali di controllo del territorio per
dare un colpo mortale alla criminalità. Se nella classe dirigente
non c’è cultura delle regole, tutto viene distorto. Purtroppo
rimane egemone l’idea che il sommerso sia una forma atipica di
welfare a beneficio di alcune persone che altrimenti non
avrebbero accesso al mercato del lavoro.
Invece bisogna sottolineare che il sommerso non produce mai
ricchezza, perché le aziende coinvolte, non avendo un titolo
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