Page 100 - Prodotto interno mafia
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della  crisi  economico-finanziaria:  con  le  banche  che  hanno

               limitato quando non bloccato l’accesso al credito, ’ndrangheta e
               Cosa  nostra  diventano  gli  unici  canali  attraverso  i  quali

               imprenditori  e  politici  possono  accedere  a  capitali  freschi  e
               immediatamente disponibili?



                   La crisi amplia l’area dell’illegalità, ma abbiamo già detto che
               i  capitali  mafiosi  si  legano  a  business  tradizionali  con  scarso

               rischio  d’impresa.  Il  mafioso  non  investe  in  un’azienda  tessile
               esposta  alla  concorrenza  internazionale,  ma  in  immobili,

               ristorazione, grande distribuzione, nel ciclo dell’edilizia e delle
               costruzioni. Entra in business che conosce e dove sa gestire la
               filiera  dei  subappalti.  L’area  dell’illegalità  aumenta  in  quei

               settori  che  sono  esposti  in  maniera  piú  forte  alla  possibilità  di
               controllo del territorio.

                   Soprattutto  nei  periodi  di  crisi  le  cosche  mafiose  puntano  a
               rafforzare  le  loro  posizioni  nel  settore  dell’edilizia,  della
               distribuzione  organizzata,  dei  rifiuti.  Intervengono  in  maniera

               decisa  sul  business  immobiliare  perché  quando  i  prezzi  degli
               immobili calano è piú facile comprarli.

                   Ovviamente, in tempi di crisi questo incide ancora di piú sulle
               tasche degli italiani. Facciamo un esempio che, durante l’estate

               del  2010,  ha  riempito  le  pagine  dei  giornali  nazionali:  la
               cosiddetta «cricca della P3» .
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                   L’accusa  è  quella  di  aver  messo  in  campo  una  distorsione
               della  concorrenza  nel  settore  dei  lavori  pubblici  attraverso  le
               emergenze  e  la  corruzione.  La  conseguenza  naturale  è  stata  la

               lievitazione dei costi delle opere a cui si è aggiunto il dazio della
               corruzione: il non funzionamento del mercato ha creato un costo

               collettivo che è stato pagato con le tasse dei cittadini. È ovvio
               che se quel mercato fosse stato trasparente non ci sarebbero stati

               aggravi per gli italiani. È necessaria l’indignazione morale, ma il
               peccato  capitale  sta  nell’aver  fatto  un  danno  alla  collettività

               attraverso  una  distorsione  del  mercato,  operata  con  una
               corruzione  sistematica  che  ha  creato  mercati  regolamentati  da





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