Page 104 - Prodotto interno mafia
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simpatia nei confronti dei furfanti perché li ritengono abili.
Siamo l’unico paese che ha manifestato, e ancora manifesta, un
forte spirito di tolleranza nei confronti dell’evasione fiscale e
della corruzione.
Criminalità organizzata, sommerso, evasione fiscale,
corruzione sono, nella sua prospettiva, fenomeni legati. Crede
nell’esistenza di uno specifico mafioso o Cosa nostra non è altro
che la variante siciliana di attitudini e comportamenti diffusi
ovunque nel paese? Guardando alla sua esperienza e alla storia
del territorio in cui opera è possibile ipotizzare modelli
alternativi?
Io sono nato a Siracusa, una provincia dove la mafia esiste, ma
non ha il radicamento di altre zone della Sicilia. Storicamente la
mia provincia veniva considerata «babba», mite, quasi stupida.
In quegli anni c’era una colpevole sottovalutazione della
presenza di Cosa nostra nella Sicilia orientale, si pensava che la
mafia fosse un problema della Sicilia occidentale: Palermo,
Caltanissetta, Agrigento, Trapani. Invece era radicata in tutta la
Sicilia e a Catania aveva una vocazione imprenditoriale molto
spiccata.
Il risveglio per molti siciliani è arrivato a partire dalla metà
degli anni Ottanta, con il giudice Falcone che comincia a mettere
le manette ai potenti, anche se la svolta si deve all’effetto
combinato di Tangentopoli e delle stragi di mafia, della reazione
popolare e delle indagini giudiziarie sul mondo imprenditoriale
basato su politica e mafia. Scoppia cosí il sistema delle grandi
aziende dei lavori pubblici che avevano egemonizzato il mondo
dell’impresa e del lavoro scegliendo di investire solo in alcuni
settori.
Come è noto, il settore prescelto per la Sicilia era quello edile:
cosí, mentre nel resto d’Italia si era sviluppato il manifatturiero e
la propensione verso l’export, la Sicilia era piena di palazzinari e
di una cultura d’impresa clientelare e mafiosa. La rottura di
questo monopolio negli anni Novanta ha favorito la lenta
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