Page 59 - Prodotto interno mafia
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1989, Tangentopoli ancora lontana, eppure già facevamo
indagini sulla pubblica amministrazione rivelando relazioni
strettissime con la criminalità organizzata.
In primavera arrivarono le prime minacce. All’inizio
cercarono di colpirmi attraverso la mia fidanzata. Prima in
maniera soft: le telefonavano dicendo di non sposarmi perché
avrebbe sposato un uomo morto. Poi sono diventati piú cattivi e
un giorno spararono alla porta di casa mia. All’epoca non avevo
ancora la scorta, quindi spesso dormivo in tribunale.
Lei proviene da una famiglia molto umile: terzo di cinque figli
cresciuti con grandi sacrifici. Dice che «essere figlio di
nessuno» l’ha aiutata nel suo mestiere. Perché?
Sono cresciuto con i figli degli ’ndranghetisti. A scuola
credevano di essere i padroni del mondo: praticavano soprusi,
violenza, ricatti e venivano guardati con ammirazione da molti
perché ai loro occhi risultavano i forti e i vincenti. Sicuramente
quegli anni passati fianco a fianco con loro mi hanno dato una
capacità di lettura diversa dei casi e dei rapporti di polizia
giudiziaria: sono capace di cogliere tra le righe informazioni e
collegamenti che i miei colleghi – cresciuti in altri ambienti –
neanche vedono.
Da bambino non immaginavo un futuro da magistrato. Non
credevo che la mia vita sarebbe stata un tentativo continuo di
frenare proprio la violenza e la sopraffazione che riempivano le
mie giornate scolastiche a Gerace. Mio padre aveva la quinta
elementare, mia madre la terza. L’università di Catania era molto
prestigiosa negli anni Settanta, frequentata da figli di
professionisti, di persone molto ricche. Erano gli anni in cui
Catania veniva definita la «Milano del Sud». Io percepivo la
differenza tra noi e loro. Aver dovuto faticare tanto anche per
cose banali mi ha forgiato il carattere.
Oggi, invece, potremmo dire che Milano è diventata il
capoluogo della Calabria criminale. I risultati dell’indagine
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