Page 126 - Prodotto interno mafia
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Un boss non nasce mafioso. Le famiglie appartenenti a Cosa
nostra mantengono un’apparenza di onorabilità nell’educazione
dei figli. Le madri, che hanno un ruolo principe nella loro
crescita, lavorano affinché il bambino riceva una rigorosa e
coerente educazione cattolica. Per farlo, tengono ben separati gli
affari sporchi degli uomini dalla vita familiare, gestita quasi
interamente dalle donne, alla luce del sole.
Questo dualismo dà luogo a un’educazione che potremmo
definire schizofrenica. Se durante l’infanzia il boss ha compiuto
un importante percorso religioso, i valori che ha appreso da
bambino vengono schiacciati dalla scelta mafiosa, ma le tracce
restano. Quel patrimonio di convinzioni ed esperienze positive
può saltare fuori all’improvviso nell’età adulta, creando un
profondo dissidio tra la memoria nostalgica di un passato pieno
di valori e un presente criminale.
Nei mafiosi c’è una religiosità infantile bloccata al primo
approccio dell’esperienza con la fede. Il modo con cui il
criminale si rivolge al cattolico che vive dentro di lui risente di
quel clima: il retaggio della prima formazione religiosa
trasferisce nell’agire mafioso schemi e atteggiamenti che
appartengono a essa. Accade quando il rapporto con la fede non
è cresciuto insieme alla persona: se il patrimonio religioso di un
individuo è rimasto fermo ai 14 anni, convivono nella stessa
persona un gigantismo umano e un nanismo spirituale.
Alcuni cercano di recuperare un’unità provando a
ridimensionare il presente, a rimuoverlo se possibile, scatenando
una feroce lotta interiore nel tentativo di vincere la lacerazione.
Da qui il ricorso ai sacramenti – visti come tentativo di
ricongiungere il presente a principî che appartengono a un’era
lontana – e a un mediatore spirituale, una figura che aiuti il
mafioso a riproporre una sintesi nuova. Ma il percorso di
pentimento, se intrapreso sul serio, è fatto di solitudine e di
espiazione della colpa.
Questo spiega un percorso individuale, non un fenomeno
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