Page 123 - Prodotto interno mafia
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nel febbraio del 2010, all’indomani della pubblicazione del
documento della Conferenza episcopale italiana Per un paese
solidale. Chiesa Italiana e Mezzogiorno, quando dalle colonne di
«Famiglia Cristiana», lei ha chiesto alla Cei una presa di
posizione piú decisa nei confronti del fenomeno criminale,
auspicando una verifica a breve e lungo termine dei buoni
propositi espressi nel documento.
Il documento è frutto del lavoro di tutta la Conferenza
episcopale italiana. È stata data la possibilità a ognuno di noi di
migliorarlo e integrarlo. Tuttavia proprio la partecipazione
massiccia dei vescovi alla stesura ha avuto come effetto negativo
quello di mettere a posto le coscienze. Non basta scrivere che la
mafia è una «struttura di peccato che genera peccato» per
assumere un ruolo nella lotta alla criminalità organizzata. Quello
è solo l’inizio: il documento è scritto, ora dobbiamo calarlo nelle
realtà.
È questo il senso dell’appello che abbiamo voluto lanciare su
«Famiglia Cristiana» con il vescovo emerito di Acerra,
monsignor Riboldi e il vescovo di Agrigento, Francesco
Montenegro. In generale le reazioni alla nostra intervista sono
state piuttosto positive. Non siamo certo i soli a pensarla cosí
all’interno della Cei, né tanto meno i piú radicali. Ma i giornali
funzionano cosí: a volte le dichiarazioni vanno trovate nel giro di
poche ore e non è facile incontrare persone disposte a parlare
subito, quindi quella posizione, agli occhi dell’opinione
pubblica, è solo nostra.
Qual è la posizione della Conferenza episcopale italiana
rispetto alle mafie?
La Cei guarda ai problemi del paese con un approccio
realistico e pragmatico, che nasce dalla presenza sul territorio.
Quando ci esprimiamo su un tema, il giudizio è sempre frutto di
un’esperienza personale. Ci sono posizioni molto diverse:
vescovi di frontiera, vescovi a metà strada e altri che si ritrovano
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