Page 70 - Potere criminale
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gesta della criminalità organizzata provocarono la nascita di movimenti riformatori orientati a
chiedere pulizia degli affari e della politica, decisi a dare sostegno all’azione penale contro la
criminalità.
S. Abbiamo visto che in Sicilia c’era già stato il precedente dell’antimafia contadina del dopoguerra, sia pure sotto
il segno della lotta contro il latifondo...
L. Un precedente importante per dimostrare che anche in Sicilia può aversi un’opposizione. Però le
differenze tra i due movimenti sono enormi, e l’uso di uno stesso schema non ci porta lontano. La
mafia era considerata dalla tradizione comunista come un mero sottoprodotto del potere di una classe
dirigente basata sulla proprietà fondiaria, da rovesciarsi mediante una lotta di classe e una riforma
agraria. Ora la lotta ha nuovi protagonisti su entrambi i fronti. E ha bisogno di metodi, parole e
passioni nuove. La mafia è di per sé il protagonista e l’antagonista. L’obiettivo è la creazione di uno
strato robusto di società civile che sospinga lo Stato di per sé riluttante a far valere la sua etica,
difendendo essenzialmente il concetto di legalità. Siamo in una sfera etico-politica a cui il «realismo»
marxisteggiante o pseudomachiavelliano dei gruppi dirigenti della sinistra ha sempre guardato – e
continua a guardare – con presunzione di superiorità, se non con disprezzo.
S. Molti siciliani si schierano a sostegno dei carabinieri, dei poliziotti e dei magistrati. Sarebbe stato impensabile
appena pochi anni prima, in una terra segnata da un antico pregiudizio contro gli «sbirri»...
L. Sì. Considera però il carattere minoritario del movimento antimafia palermitano: cittadino,
borghese, di élites intellettuali e studentesche, di «cani sciolti» della sinistra. Fenomeno singolare e
interessante: non mancano i rampolli delle tradizionali classi dominanti, le stesse che sino al giorno
prima avevano fatto uso di servizi mafiosi...
S. È un riferimento a Leoluca Orlando, il consigliere comunale democristiano che da lì a poco, nel 1985, sarebbe
diventato sindaco di Palermo con una forte connotazione antimafia?
L. Leoluca Orlando è il massimo protagonista della rottura interna alle classi dirigenti e della
dislocazione sul terreno dell’antimafia di una parte importante di forze politiche di ispirazione
cattolica o genericamente di sinistra. La sua ascesa segnala anche l’incapacità dei comunisti di
occupare lo spazio politico e d’opinione che l’antimafia si va conquistando.
S. Prova a spiegarlo...
L. Il moderatismo comunista si trova a disagio di fronte ai discorsi radicaleggianti di Leoluca
Orlando; ostenta quella che abbiamo già definito una presunzione di superiorità, perde peso e
credibilità.
S. È arduo sostenerlo, se soltanto pensiamo all’iniziativa e all’eliminazione di Pio La Torre, figura a lungo viva
nella memoria dei comunisti siciliani...
L. Distinguiamo. Come ho detto, il Pci berlingueriano e postberlingueriano era un ottimo
interlocutore degli apparati impegnati sul campo e di chi volesse fare una politica sanamente
repressiva. Mostrava, come si dice, senso dello Stato. Ma non era attrezzato a porsi sul piano mobile
dei movimenti. Su scala regionale continuava a ragionare di patto autonomistico con la Dc, di
accordo con una borghesia cosiddetta progressista e in realtà, spesso, decisamente inquinata (era il
caso dei Cavalieri del lavoro di Catania). Con Michelangelo Russo, uno dei suoi leader siciliani, si
rifiutava di fare l’analisi del sangue alle imprese.
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