Page 68 - Potere criminale
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S. Quali sono i segnali di questo riarmo istituzionale?

           L. Importanti stimoli venivano dagli Stati Uniti agli investigatori italiani, come nel caso di Boris
          Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo, che intuì la rete del narcotraffico. Tra i magistrati
          inquirenti  cominciò  a  prevalere  l’idea  dell’organizzazione  in  pool  specializzati,  come  era  già
          avvenuto con successo nella lotta al terrorismo. Sempre dall’esperienza dell’antiterrorismo derivava
           l’idea  che  fossero  necessarie  nuove  leggi  contro  i  reati  associativi  e  che  si  dovessero  incoraggiare

           rotture interne nel fronte nemico, ovvero ricercare le testimonianze dei cosiddetti pentiti. Molti dei
          caduti sotto il piombo mafioso praticavano o sostenevano questi nuovi metodi di lotta.

          S. Il numero e la scansione delle vittime è impressionante: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa,
           Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Succede qualcosa, poi tutto sembra tornare
           come prima fino al prossimo omicidio. Il cantautore Fabrizio De André ne trarrà spunto per inserire questi versi
           nella sua canzone «Don Raffaè»: «E lo Stato che fa? / Si costerna, s’indigna, s’impegna, / poi getta la spugna

           con gran dignità».

           L. È un micidiale gioco di azione e reazione. Ogni delitto della mafia provoca allarme e la ricerca di
           nuove soluzioni. Ogni nuova soluzione provoca una sanguinosa reazione della mafia. La sequenza è
           agevolata  dal  fatto  che  manca  una  risposta  emergenziale:  l’Italia  sembra  non  rendersi  conto  della
           necessità di garantire subito l’ordine pubblico. Il ministero degli Interni finge che tutto sia normale.
           Si abitua. Accetta una situazione inaccettabile.

           S. C’erano risposte di medio periodo, per certi versi preparatorie dell’eccezionale stagione successiva, coronata dal

           maxiprocesso. Ma in quel momento mancò la reazione immediata dello Stato, dando l’impressione di istituzioni
           inermi. Di conseguenza a molti, a me per primo, sembrò che gli uomini migliori delle istituzioni fossero stati
           mandati a morire a mani nude e a petto scoperto, senza avere dietro nessuno...

           L.  Proprio  così.  Il  ritardo  delle  istituzioni  rispetto  al  dinamismo  corleonese  è  reale,  ma  anche
          simbolico, perché lo stesso terrore corleonese ha talvolta intenti prevalentemente simbolici. Il delitto
          Dalla Chiesa è l’esempio lampante di questo nuovo modo di ragionare. Il generale arriva in Sicilia

          essenzialmente come un simbolo, privo di strumenti e, a mio parere, senza ben sapere cosa stesse
          accadendo  in  Cosa  Nostra  e  forse  addirittura  senza  conoscere  le  informazioni  più  importanti
           disponibili alla magistratura e agli apparati investigativi. Viene ucciso perché il suo corpo e quello di
           sua  moglie  finiscano  in  apertura  dei  telegiornali.  La  Cosa  Nostra  uccide  per  ostentare  il  proprio
           potere,  per  lanciare  un  messaggio  intimidatorio  poderoso,  ma  generico,  alle  classi  dirigenti  e
           all’opinione pubblica. La mafia agisce per finalità analoghe a quelle di un gruppo politico terrorista.

           S. Il segno simbolico del delitto Dalla Chiesa vale anche per gli omicidi del presidente della Regione Piersanti

          Mattarella e del segretario del Pci siciliano Pio La Torre?

          L. Ritengo di sì. Ecco perché è difficile trovare il senso dei delitti «politici»: dall’eliminazione di
           questi  personaggi  la  mafia  non  si  aspettava  alcun  vantaggio  diretto,  perché  non  c’è  un  movente
           specifico.

           S. Dopo l’assassinio del generale Dalla Chiesa, il Parlamento in gran fretta vara la legge sulla confisca dei beni e

          l’articolo 416 bis del codice penale, che configura l’associazione di tipo mafioso «quando coloro che ne fanno parte si
          avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che
           ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di
           attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi



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