Page 67 - Potere criminale
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sull’ammissibilità del ritorno di alcuni esponenti del clan siculo-americano degli Inzerillo,
sopravvissuti alla strage di venticinque anni prima. Rotolo dice: «Adesso sembrano innocui, ma
domani chissà... colpiamoli noi prima che ci colpiscano loro». Si ripropone lo schema mentale che
vent’anni prima sembrava razionale, non solo a Palermo, ma anche in altre aree di criminalità
organizzata.
S. Dove?
L. A Catania, dove c’era solo un gruppo di Cosa Nostra – strettamente collegato ai palermitani –,
ma anche un nugolo di altre fazioni di tutt’altra origine, impegnate a scannarsi tra loro. La stessa
conflittualità estrema si registra nel Napoletano tra cutoliani e anticutoliani. Abbiamo detto più volte
che l’Italia degli anni Settanta era culturalmente un campo fertile per la diffusione, il successo e la
proliferazione della violenza politica, a fronte di una paralisi della reazione statale: tutti erano
autorizzati a pensare che con la violenza si risolvessero i problemi.
S. Eppure la mattanza di quegli anni, penso ai cento e più morti a Palermo nel 1982, quando il quotidiano
«L’Ora» ormai sparava in prima pagina solo i numeri dei cadaveri (71, 72, 73... e così via), non sembra una
guerra classica, con caduti e vittime da entrambe le parti in conflitto, ma piuttosto una strage di soggetti incapaci di
reagire...
L. E così. A Palermo, contrariamente a quanto avveniva prima e a quanto continua a succedere
altrove, non abbiamo il classico meccanismo delle guerre di mafia dell’azione e della risposta –
muore uno da una parte, poi viene ammazzato uno dall’altra parte. Qualche volta mi sono chiesto se
non siamo stati trascinati in un’interpretazione troppo totalizzante, se non siamo invece davanti a
diversi conflitti che leggiamo unitariamente. Le informazioni disponibili portano però a credere che
tutto vada ricondotto al colpo di Stato corleonese. La mancanza di reazioni indica che questa fazione
aveva in mano una sorta di monopolio della forza.
S. Non riuscirono a capire la portata della strategia corleonese nemmeno due boss di lunga esperienza e tradizione
mafiosa come Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, uccisi a distanza di due settimane l’uno dall’altro nella
primavera del 1981...
L. È chiaro che, nel momento in cui furono ammazzati, Bontate e Inzerillo non erano più seguiti
dai loro stessi uomini, dal grosso degli affiliati delle loro famiglie. Per questa primissima fase tutto è
abbastanza chiaro. Resta più difficile, ma non impossibile da capire, il seguito, ovvero il dilagare
incontrastato di quella che si dice la mattanza.
S. Parallelamente al golpe interno a Cosa Nostra, si attua una strategia di eliminazione di molti uomini dello
Stato: dal capo della squadra mobile Boris Giuliano, ucciso nel 1979, al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa,
assassinato nel 1982. Ancora una volta la reazione dello Stato appare inadeguata, anche se proprio in questi
anni si sta formando un gruppo di magistrati e di investigatori di grandissimo valore, dal giudice Giovanni Falcone
al vicequestore Ninni Cassarà.
L. C’è infatti una reazione che darà i suoi frutti. Però i tempi del riarmo dello Stato sono molto più
lenti dei ritmi dell’offensiva corleonese, con la sua volontà (e capacità) di prendere sul tempo gli
avversari. Però la realtà o la prospettiva a breve di un riarmo delle istituzioni rappresentano la chiave
per comprendere la stagione del terrorismo mafioso. È il continuo innalzarsi della posta nella partita
tra mafia e antimafia a rendere duro il gioco. Se pensiamo le istituzioni come strutturalmente inclini
a passare la mano – come troppo spesso si fa – non capiamo nulla di quanto è successo.
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