Page 69 - Potere criminale
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ingiusti per sé o per altri». C’è voluto un dibattito lungo centoventi anni per arrivare a una norma che definisce e
punisce l’associazione mafiosa. Non credi ci sia stato un po’ di ritardo?
L. No, perché? Le diffidenze verso il reato collettivo nella tradizione giuridica italiana erano molte.
Per causam, direi, visto che la responsabilità penale è personale, visto che questo tipo di reato porta in
sé il rischio della montatura e della persecuzione, visti i precedenti delle leggi antianarchiche e
antisocialiste di età liberale e di periodo fascista. Fu la dura lezione dei fatti a cambiare le cose.
S. Per approvare la legge, presentata da tempo in Parlamento, furono necessari i cadaveri di La Torre e Dalla
Chiesa. Le Camere votarono e approvarono il provvedimento (che portava il nome di legge Rognoni-La Torre)
venti giorni dopo l’omicidio del generale. Forse, se fosse stata varata prima, ci sarebbero state due vittime in meno...
L. Nell’immediato, in effetti, la risposta arriva sempre in ritardo. Parliamo di situazioni
drammatiche in cui è come se i tempi della storia accelerassero. Però, se allontaniamo lo sguardo e
ragioniamo sul quinquennio 1978-82, le cose appaiono diversamente: la risposta arriva.
S. Arriva anche la risposta di Cosa Nostra: il consigliere istruttore Rocco Chinnici viene eliminato con
un’autobomba al tritolo, nel luglio 1983. La mafia adotta tecniche già praticate sugli scenari mediorientali. Lo
sconcerto di quei giorni è racchiuso nel titolo di prima pagina di un quotidiano: «Palermo come Beirut».
L. L’attentato a Chinnici dà il segno che, organizzandosi in pool specializzati, la magistratura
inquirente sta imboccando la strada giusta. Certo, in molti contrastano questa tendenza. Non
parliamo solo dell’ala più conservatrice della magistratura, ma anche di parte della sinistra, che ha
considerato «liberticida» ogni intensificazione della «repressione», e quindi anche le scelte
organizzative di questa natura.
S. Chi è invece che si intesta l’azione di rinnovamento per rendere più incisiva l’azione giudiziaria contro la
mafia?
L. Certamente c’è un’elaborazione interna nei settori più dinamici della magistratura. Sul versante
politico, bisogna considerare l’esperienza della solidarietà nazionale e il trauma del delitto Moro.
Durante il sequestro del presidente della Dc, la leadership comunista non solo pensa, ma dichiara a
voce alta che l’ordine rappresenta un valore primario e che la sua difesa deve essere efficace. Nella
lunga storia del Pci, credo sia forse il momento più alto. Il gruppo dirigente mostra patriottismo,
realismo politico, duttilità mentale. A spaccarsi semmai è il popolo di sinistra, con lacerazioni per
certi versi doloranti ancora oggi.
S. In questi primi anni Ottanta nasce l’antimafia delle marce, dei cortei, delle fiaccolate. Oggi la consideriamo,
forse non a torto, retorica e a servizio dei media...
L. Ma la retorica ci vuole. Il linguaggio che i movimenti collettivi usano sulla scena pubblica non
può non essere adeguato alla drammaticità della fase storica e alla gravità dei problemi.
S. E in effetti nella Palermo di allora era sicuramente significativo che studenti e cittadini scendessero a protestare
contro la mafia per le strade di una città considerata cinica e indifferente. Pochi giorni dopo il 3 settembre 1982,
una mano anonima aveva lasciato un cartello sul luogo del delitto Dalla Chiesa: «Qui è morta la speranza dei
palermitani onesti». Con quel grido e con la reazione che innescò nasce il movimento antimafia che siamo abituati
a conoscere...
L. Sì, nascono un movimento abbastanza nuovo e un nuovo stile politico. Il paragone che mi viene
in mente riguarda gli Stati Uniti degli anni Trenta. Nelle grandi città come New York e Chicago le
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