Page 74 - Potere criminale
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ragioni, di non poterne concedere alcuna all’altro.
S. Il fronte garantista si presentava agguerrito, capace di cavalcare le paure e le preoccupazioni di molta gente...
L. Le paure a Palermo erano – e sono – tante. Il garantismo vecchio e nuovo di sinistra venne a
saldarsi con quello degli avvocati e dei giuristi palermitani, con i timori di una classe dirigente
nazionale e locale, per un pentolone ribollente che stava per essere scoperchiato. Tutta questa gente
assunse Sciascia a suo eroe. Non so dirti quanto e se lui lo gradisse.
S. Al palazzo di giustizia di Palermo intanto si era costituito il pool antimafia, motore delle indagini che
avrebbero portato al maxiprocesso. Ma uno spettro aleggiava su Palermo: quello del maxiprocesso contro la camorra
di Napoli, segnato dal clamoroso errore giudiziario che aveva portato all’arresto di Enzo Tortora.
L. È vero. Il martirio di Tortora, chiamato in causa da presunti pentiti, fu agitato come una bandiera
dai garantisti. I radicali, con i libri di Mauro Mellini e di Lino Jannuzzi, partirono da qui per
l’attacco al pool antimafia di Palermo, al maxiprocesso, alla credibilità di Buscetta. Dietro c’erano gli
intellettuali francesi e i loro appelli contro la repressione, i vari terroristi rifugiati a Parigi pronti a
gridare al nuovo fascismo italiano, le polemiche sul delitto Moro, l’enfasi sulle colpe non delle
Brigate Rosse, ma del Pci e della Dc. Era stato detto che Toni Negri era vittima di un indimostrabile
«teorema» accusatorio. Qualcuno provò a rifare la stessa operazione con Riina e soci.
S. Tu che ne pensi?
L. Che Sciascia poteva scegliersi meglio i compagni di strada.
S. Erano però legittime le preoccupazioni che il maxiprocesso si potesse risolvere in un procedimento «monstre», nel
quale i diritti dei singoli imputati potessero venire calpestati...
L. Le preoccupazioni potevano all’inizio apparire fondate; sta di fatto che al termine del processo lo
stesso Sciascia riconobbe che la sentenza di condanna era basata sui fatti, non sul cosiddetto «teorema
Buscetta».
S. Nel pieno del maxiprocesso, il 10 gennaio 1987, il «Corriere della Sera» pubblica un articolo di Sciascia con il
titolo «I professionisti dell’antimafia». Diventerà il cuore di uno scontro politico di inaudita violenza.
L. Proviamo ad analizzarlo, questo celebre articolo. Si apre con una excusatio non petita, in cui
Sciascia elenca i suoi meriti di analista e di avversario della mafia. Prosegue con la recensione al libro
di Christopher Duggan su La mafia durante il fascismo. Abbiamo detto che Sciascia era ossessionato
dal fantasma di Mori. Duggan aggiungeva un altro tassello alle tradizionali critiche contro il prefetto:
non solo Mori si era valso dell’accusa di mafia per stroncare l’opposizione antifascista, ma anche per
una lotta interna al fascismo stesso, per fare fuori alcune fazioni e promuoverne altre. Operazioni di
questa natura, precisò Sciascia, puzzavano di totalitarismo, quand’anche fossero realizzate in regime
cosiddetto democratico, «retorica aiutando e spirito critico mancando». Potevano ben riprodursi nel
tempo presente.
S. L’articolo entra nel vivo, quando prende di mira il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il giudice Paolo
Borsellino...
L. Certamente Sciascia riteneva Orlando il massimo interprete di una strumentale retorica antimafia,
e lo lasciò intendere nell’articolo. Peraltro, curiosamente, non citò espressamente il suo nome. Citò
invece quello di Borsellino, descrivendolo come un altro esempio dell’uso strumentale
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