Page 77 - Potere criminale
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Le verità di Buscetta
Gaetano Savatteri Il pensiero garantista prende di mira i collaboratori di giustizia, sbrigativamente definiti
pentiti. E tra loro il più importante, cioè Tommaso Buscetta. Eppure don Masino non è il primo uomo d’onore che
si rivolge all’autorità giudiziaria: prima di lui c’era stato Leonardo Vitale, non a caso assassinato nel 1984,
proprio quando si diffonde la notizia della «cantata» di Buscetta, e cinquant’anni prima aveva parlato con la
polizia il dottor Melchiorre Allegra, medico e mafioso di Castelvetrano. Nonostante questi precedenti, i critici
sostengono che un mafioso non possa essere pentito e che se è pentito allora non è mafioso...
Salvatore Lupo Fu il radicale Mauro Mellini, nel libro che ho già evocato, a sostenere che può
collaborare con le autorità il membro di un gruppo politico, mentre un pentito di Cosa Nostra non
può esistere per definizione, essendo la mafia un compatto sistema subculturale e non
un’organizzazione. Siamo al solito discorso depistante, insomma. Tra l’altro, sappiamo bene che (in
barba alla presunta etica antistatale!) era sempre accaduto che i mafiosi parlassero con l’autorità; però
riservatamente, nel chiuso dei commissariati. Se si voleva portare lo scambio nello spazio del
processo penale, se lo si considerava plausibile dal punto di vista etico, bisognava inserire nella
legislazione italiana meccanismi che lo rendessero realizzabile – come da sempre avveniva, ad
esempio, in quella americana.
S. Tommaso Buscetta aveva una grandissima forza narrativa: il suo racconto dei sotterranei di Cosa Nostra ha
una coerenza interna, una chiarezza espositiva e una capacità seduttiva che hanno colpito gli stessi magistrati. È
possibile che gli inquirenti siano rimasti stregati da Buscetta?
L. È certo, anzi: la sua testimonianza apre squarci senza precedenti su quei sotterranei. Come tu
dici, va riconosciuta a Buscetta una grande capacità di racconto: si capisce che ha molto riflettuto sul
senso delle cose che dice, sui concetti base, sul modo di proporre la mitologia mafiosa. Lo ha fatto
dall’interno, ma anche guardando le cose un po’ dall’esterno: parliamo del figlio di un vetraio, non
del rampollo di una dinastia mafiosa delle borgate palermitane come i Greco o i Bontate.
S. Buscetta parla spesso del suo carisma, per spiegare le ragioni che lo mettevano al centro delle vicende di Cosa
Nostra, pur non essendone mai stato un capo. È verosimile?
L. Buscetta era un personaggio carismatico, è vero, come dimostrano fatti indiscutibili. Mai però
fornì spiegazioni soddisfacenti di questo suo carisma, almeno a noi che siamo inclini a legare questo
concetto non a qualità misteriosamente intrinseche della personalità, ma a relazioni di potere,
materiale o morale, comunque razionalmente spiegabile. Ora, secondo la sua stessa testimonianza,
Buscetta non avrebbe mai ricoperto cariche in Cosa Nostra; non avrebbe mai guidato «gruppi di
fuoco» o ordinato omicidi; non avrebbe mai avuto un ruolo in traffici particolarmente fruttuosi,
come quello della droga. Aggiungo che di sicuro egli passò la parte maggiore della sua vita da adulto
lontano da Palermo e dalla Sicilia; tra l’altro nelle due Americhe dove, sempre a suo dire, non
avrebbe partecipato ad attività criminali. Come vedi non ci siamo. I conti non tornano.
S. Donne, figli da mogli diverse, viaggi all’estero, abbigliamento vistoso, lunghe permanenze nelle Americhe
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