Page 81 - Potere criminale
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Dai veleni alle stragi














           Gaetano Savatteri Il maxiprocesso seleziona un gruppo eccezionale di inquirenti e investigatori. Eppure subito
          dopo la sentenza, un grande successo per la giustizia, si apre la lunga stagione dei veleni a palazzo di giustizia.
          Perché la conclusione del maxiprocesso segna l’inizio del declino e dello smantellamento del pool?

          Salvatore Lupo Potrei rispondere: perché il successo era stato grande, ma l’avversario era tutt’altro

           che battuto. Intendiamoci però: per avversario non intendo solo Cosa Nostra, ma quell’insieme di
           pratiche  giudiziarie,  e  i  loro  concreti  interpreti,  che  i  successi  del  pool  rischiavano  prima  di
           stravolgere e poi di travolgere. La lotta delle fazioni dentro la magistratura aveva avuto d’altronde
           momenti esplosivi anche prima del maxiprocesso, e continuò per il controllo delle cariche, degli
          uffici, dei dossier investigativi. Bisogna poi considerare che la logica dell’antimafia giudiziaria non
           necessariamente  coincide  con  quella  dell’antimafia  politica.  Leoluca  Orlando  accusò  Falcone  e
           compagni  di  tenere  chiuse  nei  cassetti  le  inchieste  sui  delitti  politici  (Mattarella,  La  Torre,  Dalla

           Chiesa).  Stando  a  Saverio  Lodato,  Falcone  replicò:  «Orlando  ha  bisogno  di  tenere  sempre  alta  la
           tensione».  Sembra  una  frase  di  Sciascia.  In  effetti,  l’antimafia  politica  ha  bisogno  di  rilanciare
           sempre, fino a un’ipotetica rivoluzione che naturalmente non si verifica mai. Falcone invece aveva
           bisogno di chiudere le indagini, di far condannare gli imputati e di arrivare a sentenze definitive.
          Accordandosi  con  Claudio  Martelli,  ministro  della  Giustizia  e  vicesegretario  di  quel  Psi  già

           protagonista della battaglia garantista, trovò un alleato solido che, sperava, gli avrebbe consentito di
           portare a casa il risultato.

           S. Ma il Psi di Martelli era il partito che nelle elezioni politiche del 1987 aveva raccolto molti consensi tra gli
           uomini di Cosa Nostra, decisi a lanciare un segnale di diffida alla Dc...

           L. Proprio per questo Falcone fece un’operazione adeguata. Allearsi con il Psi significava dividere lo
           schieramento avversario, impedire la creazione di un fronte ipergarantista e concedere a una parte
           politica di godere dei successi contro la mafia. Significava anche muoversi in una logica istituzionale,

           bada: Martelli era il ministro della Giustizia.

           S. Oltre che con gli avversari politici, Falcone doveva fare i conti con le resistenze interne alla magistratura...

           L. Sì, e te lo confermo: qui non dobbiamo leggere ogni polemica come un conflitto tra i nemici e
           gli amici della mafia. Il fronte che si opponeva a Falcone si configurava come un vasto schieramento
          conservatore, con qualche sponda a sinistra in una Magistratura democratica restia ad abbandonare
          equilibri e strategie tradizionali.

          S. Dopo il maxiprocesso, la vicenda di Falcone è un susseguirsi di fallimenti e frustrazioni: la bocciatura a capo

           dell’ufficio istruzione, la mancata elezione al Consiglio superiore della magistratura, l’emarginazione dentro la
           Procura di Palermo.

           L.  Emerge  sempre  comunque  la  straordinaria  lucidità  di  quest’uomo:  non  si  faceva  mai  mettere
           nell’angolo.  Abilità  ma  anche  senso  dello  Stato,  se  vogliamo  usare  questo  termine.  Mi  affascina



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