Page 82 - Potere criminale
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molto la sintonia tra Falcone e Borsellino, l’uomo di sinistra e l’uomo di destra. Molti invece ne
sono infastiditi.
S. La scelta di Falcone di accettare l’incarico di direttore degli Affari penali nel ministero guidato da Martelli destò
delusioni e irritazioni nel movimento antimafia...
L. Però solo chi non capisce niente di politica può pensare che il sostegno di Martelli andasse
sdegnosamente respinto. Aveva un interesse politico? Certo, il vero successo era proprio fargli
capire che la sconfitta della mafia poteva essere una buona cosa per il suo paese, per il suo partito, per
la sua fazione, per lui personalmente.
S. Ricordo Alfredo Galasso, eletto nel Pci e in seguito esponente della Rete di Leoluca Orlando, che in televisione
rivolse un invito accorato a Falcone: «Giovanni, non mi piace che vai con Martelli».
L. Ma per quale ragione Falcone avrebbe dovuto preferire la compagnia di Galasso a quella di
Martelli? Ancora una volta: questa vicenda non può essere ridotta a una lotta dei buoni contro i
cattivi.
S. L’antimafia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta sembra ormai patrimonio della sinistra movimentista: la
Rete, sindaci come Orlando a Palermo e Bianco a Catania, testate giornalistiche di sinistra. Un mondo molto
fluido, ma ben ramificato e presente in tutta Italia.
L. Questo mondo ancora esiste, è uno spazio etico-politico (tutt’altro che minore) oggi
rappresentato dall’Italia dei valori. Da Palermo passò qualcosa di molto importante per la storia
italiana, come si sarebbe visto nel 1993, al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
S. Il 12 marzo 1992 viene ammazzato l’eurodeputato Salvo Lima, da sempre indicato come l’interlocutore di
Cosa Nostra. Due mesi dopo, la strage di Capaci e il 19 luglio l’autobomba in via D’Amelio. Sembra che i
corleonesi stiano vincendo la battaglia contro lo Stato, incapace di proteggere Falcone e Borsellino, i suoi uomini
migliori e più esposti.
L. Veramente i corleonesi stanno perdendo. Quando comincia a prendere forma la linea moderata di
Provenzano, in opposizione a quella estremista di Riina? Forse in questo periodo. Non so cosa
verrà fuori dalle indagini sul cosiddetto «papello» scritto nell’estate del 1992. L’unica cosa certa è che
le richieste della mafia allo «Stato» (qui mettiamo le virgolette, perché in realtà usando questa parola
così grossa ci riferiamo a una qualche frazione annidata in qualche istituzione, composta da
funzionari o uomini politici) in esso contenute non sono state mai accolte. Questo vorrà pur dire
qualcosa. L’Italia si scandalizza per l’esistenza di un «papello», cioè per l’ipotesi che Riina abbia
cercato di intavolare una trattativa con qualche pubblico funzionario, ma non si accorge quanto
l’episodio indichi la rottura di rapporti tra mafia e Stato, che in passato erano stati ben altrimenti
stabili, pervasivi, micidiali. Quel «papello», in realtà, è l’ultima risorsa di chi ha ancora molto tritolo
e molta capacità di fare male, ma non sa più con chi parlare.
S. Fino a poco tempo prima parlavano con Salvo Lima.
L. Ma lo ammazzano. Forse perché non riescono più a parlare nemmeno con Lima o forse perché
Lima non può fare ormai niente per loro.
S. La reazione statale alle stragi consisterà nel trasferimento dei boss detenuti nel penitenziario dell’isola di
Pianosa e nel varo del carcere duro per i condannati per mafia, l’articolo 41bis del regolamento carcerario.
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