Page 87 - Potere criminale
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cugini Nino e Ignazio Salvo, potenti esattori siciliani e democristiani influenti, ancora prima che satelliti di Cosa
Nostra.
L. Se è per questo ha perfino sostenuto di non aver mai sentito il nome di Michele Greco, che pure
era finito nelle prime pagine dei giornali quale capo della Commissione di Cosa Nostra. Dobbiamo
pensare che Andreotti non leggesse i giornali?
S. Credo che Andreotti parlasse al processo, ma non si rivolgesse ai giudici. Sapeva che qualunque sua
ammissione, alla fine, sarebbe stata destinata a imprimersi nella memoria collettiva – infatti resisterà la sua
dichiarazione sul «quieto vivere» tra mafia e Stato fino agli anni Ottanta. La strategia difensiva è stata pagante,
se pensiamo che la maggior parte degli italiani è convinta che Andreotti sia stato assolto con formula piena...
L. È vero. Avrebbe potuto fare piccole ammissioni che avrebbero reso più verosimile la sua difesa.
Non lo ha fatto per un calcolo sottile di tipo politico. Sapeva che alla fine del processo sarebbero
rimaste a suo carico solo le cose che lui stesso avesse ammesso.
S. I processi ai politici si sono trascinati dietro discordanti valutazioni su nuove tipologie di reato come il voto di
scambio e ancor più il concorso esterno in associazione mafiosa, fattispecie che da molti giuristi viene avvertita come
un reato artificioso...
L. La questione è complicata. Quando fu introdotto il reato di voto di scambio, pensai che ogni
voto è di scambio. In cambio dei voti si possono offrire beni e servizi illeciti, ovvero commettere
scorrettezze, fare preferenze. Alcuni di questi scambi possono essere penalmente rilevanti, altri no.
La politica non è il regno della moralità. Ecco perché la valutazione sulla moralità politica non può
dipendere dal giudizio penale. Ammettiamo, senza concederlo, che Andreotti non sapesse degli
intrallazzi mafiosi di Sindona e di Lima. Dopo che qualcun altro glieli aveva fatti scoprire (il generale
Dalla Chiesa glielo aveva detto), avrebbe dovuto fare un gesto di pentimento e di rottura. Come
direbbe Max Weber, quella del politico è l’etica della responsabilità e non delle buone intenzioni.
Invece Andreotti è stato nominato senatore a vita e in seguito santificato. Continua a dire di non
aver mai saputo niente dei mafiosi e dei protettori della mafia.
S. Ma se Andreotti avesse fatto atto pubblico dei propri errori, se tali sono, cosa sarebbe successo?
L. Sarebbe finita la sua carriera politica, avrebbe ammesso una macchia o più d’una sulla sua
immagine, ma avrebbe consentito agli italiani di fare i conti con la storia. Poi avrebbe potuto
aggiungere, stavolta in maniera credibile, che la storia della Dc e la storia d’Italia non si riducono ai
rapporti con la mafia, che anzi ne rappresentano una parte molto minore. Che quando furono chiari
gli effetti catastrofici di quella relazione, anche i democristiani presero posizione dalla parte giusta.
Avrebbe poi potuto rivendicare, come fa, i suoi successi di politica interna ed estera. Ma non lo ha
fatto.
S. La santificazione di Andreotti, come la definisci tu, dimostra però che ha avuto ragione lui...
L. Dimostra l’incredibile tolleranza degli italiani verso i vizi altrui e l’incredibile capacità
dell’establishment politico, giornalistico ed ecclesiastico di agire come un tutt’uno, di perdonare,
perdonarsi e guardare avanti come se niente fosse.
S. Qual è la somma conclusiva della tormentata stagione dei processi ai politici della procura di Caselli?
L. Un saldo in concreto non te lo so dare. Traggo però dalle vicende una considerazione generale.
Non tutte le mille cointeressenze politiche e affaristiche attorno alla mafia possono avere una
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