Page 88 - Potere criminale
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definizione penale. Il problema tecnico e sostanziale del concorso esterno in associazione mafiosa è
questo qua. L’assoluzione di molti non deve essere motivo di scandalo: anche perché un politico
assolto non ha con questo dimostrato di aver tenuto comportamenti onesti e specchiati.
S. Caselli si è spesso difeso sostenendo che la valutazione sui politici imputati per mafia è stata resa difficile dalla
loro influenza e possibilità di difendersi con ogni sistema, anche fuori dal processo...
L. Può darsi. Resta il fatto che un processo politico di questa natura sia di per sé esposto a
strumentalizzazioni e montature. Dunque, non è forse sbagliato che la prova debba essere più solida
di quanto avviene in processi di altra natura.
S. Più solida o più sofisticata. A Gian Carlo Caselli succede Piero Grasso: la sua procura mette sotto processo il
presidente della Regione Salvatore Cuffaro, ma usa un calibro d’accusa minore rispetto all’associazione mafiosa,
incriminandolo per favoreggiamento. Il processo si conclude in primo grado con la condanna di Cuffaro e le sue
conseguenti dimissioni da governatore. Paradossalmente, abbassando il tiro si colpisce meglio il bersaglio?
L. Forse sì. D’altronde Cuffaro è stato condannato anche in appello.
S. Eppure la scelta di imputare il favoreggiamento a Cuffaro, oltre ad altre decisioni investigative, ha riacutizzato
gli scontri dentro la Procura di Palermo, tra i magistrati cosiddetti «caselliani» e quelli più vicini a Grasso, con
terribili accuse reciproche. È possibile che non possa esserci un fronte antimafia unito, nemmeno dentro
l’avanguardia più avanzata della Procura di Palermo?
L. Non solo è possibile, ma è sempre andata così. Noi che ovviamente siamo stati ammiratori di
Falcone e Borsellino pensiamo agli scontri di fazione che li hanno visti protagonisti come alla lotta
tra i buoni e i cattivi, tra gli avversari della mafia e i suoi complici. Come già abbiamo detto, le cose
non stanno proprio così. C’è in questi apparati un conflitto fazionario che ha motivazioni
autonome, come quello secolare tra carabinieri e polizia. Comunque le ragioni di merito erano
percepibili negli anni Ottanta, quando veramente si crearono le basi nuove per un’efficace lotta alla
mafia. Adesso non più: non vorrei che sul campo restassero soltanto le ragioni di carriera, di
rappresentanza di gruppi e di fazione.
S. Un quadro desolante, insomma...
L. No. Anzi, voglio dire che non c’è nella magistratura palermitana una fazione che vuole aiutare o
salvare la mafia. Chi vede le cose dall’esterno sa che Caselli e Grasso sono due valorosi magistrati,
men che meno amici della mafia. Entrambi i gruppi si sono mostrati impegnati sul campo e hanno
ottenuto importanti successi.
S. Eppure c’è sempre qualcuno che punta a sminuire i successi dell’altro. Torniamo alla trappola retorica per cui la
mafia è sempre troppo forte...
L. Questa è una retorica molto diffusa, dentro e fuori gli ambienti della magistratura, che ha del
paradossale. Negli ultimi anni, al susseguirsi dei successi investigativi e degli arresti di grandi
latitanti, si sono contrapposte grida d’allarme sul superpotere mafioso come se nulla fosse stato fatto.
S. Perché?
L. Innanzitutto perché molti sono ben consci che la mafia vive nelle pieghe della società e che
dunque ogni vittoria è provvisoria. L’idea che il successo consista in una serie di vittorie parziali a
molti non sembra accettabile. Strano paese il nostro: anche quando si riesce a concludere qualcosa di
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