Page 91 - Potere criminale
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recente una grande fortuna e viene usata spesso per spiegare la presenza tra gli affiliati di Cosa Nostra di
esponenti delle professioni e per disegnare l’area vasta di consenso della mafia anche in alcune fasce della società
apparentemente distanti o insospettabili...
L. Siamo nel cuore del problema. Storicamente e sino a oggi, come tu dici, Cosa Nostra ha trovato
tolleranza, consenso, complicità in ambienti sociali che in teoria dovrebbero avere ben poco a che
fare con la criminalità. La parola mafia ha trionfato su scala mondiale per il pubblico «scandalo» che
hanno dato le classi dirigenti in questa parte del mondo. Va ricordato però che la mafia non è una
classe sociale. Ha carattere interclassista, i suoi affari mettono insieme interessi di ogni tipo, soggetti
appartenenti a ceti emergenti, intermedi e popolari. Insomma Mario Mineo nacque alla politica nel
1943 come socialista rivoluzionario, e aspettava ancora la rivoluzione quarant’anni più tardi, quando
la gran parte dei suoi compagni della prima ora si era convertita a un tranquillo riformismo. Lo
stesso Umberto Santino, la cui opera ha più di recente valorizzato questa categoria, si colloca in
sostanza su una linea ideale postsessantottesca. Penso si tratti di una nobile tradizione. Essa non può
essere però esaustiva delle esigenze dell’oggi... la lotta alla mafia è necessaria qui e ora, vi partecipano
e devono parteciparvi quieti conservatori e arrabbiati radicali, imprenditori e poliziotti, giornalisti e
studenti. Non dobbiamo aspettare una qualche improbabile rivoluzione politica o sociale.
S. Quanto alla cattiva coscienza di certa borghesia siciliana, in precedenza hai fatto riferimento alle relazioni
pericolose che mantenevano molte famiglie appartenenti alla classe dirigente. Quanto è grande l’ipocrisia su questo
passato oscuro da lasciare nell’ombra?
L. Il lato oscuro, già. Gli scheletri nell’armadio, e dunque il problema di partenza: la ritrosia a
chiamare in causa con nome e cognome persone, famiglie, patrimoni, delitti, se anche ci riferiamo a
un remoto passato. Ricordo un episodio che risale a quand’ero ancora un neofita della ricerca
storica. Tra i mafiosi perseguiti da Mori avevo individuato un grosso gabelloto, capostipite di
un’importante famiglia di intellettuali di sinistra. Ne parlai a uno storico palermitano che mi rispose
con una certa enfasi, quasi indignato: parli di uno che forse era mafioso, ma di sicuro non
delinquente, uno che al massimo nel suo paese «esercitava una certa autorità», basata su certi «codici
culturali». La strada della rimozione è sempre la stessa: rendere astratto tutto quanto può essere
compreso solo attraverso un sano bagno di concretezza.
S. La tua ricostruzione riporta dentro le logiche di Cosa Nostra gran parte delle dinamiche, degli scontri e delle
strategie. Escludi quindi nettamente l’esistenza di un livello superiore, quello che fu chiamato «il terzo livello»?
L. In genere, chi evoca questo terzo livello guarda all’interazione tra poteri palesi e poteri occulti
(mafiosi) pensando all’interazione tra burattinai e burattini. Come già disse Falcone, l’interpretazione
è rozza e finisce per precludere la via della persecuzione giudiziaria per responsabilità che sono
sempre individuali, e non possono rimandare all’infinito a qualche sfera invisibile, empirea. Se poi
parliamo dei grandi delitti, potrebbero anche esserci mandanti occulti, ma sta di fatto che non sono
stati mai trovati.
S. Se, come ipotizzi tu, i mafiosi sono una sorta di «consulenti», l’uso di violenza, intimidazioni, assassinii e
stragi, rientra nei mezzi di esplicazione di quest’attività e viene determinato in piena autonomia o è un servizio a
favore del committente?
L. Guarda, non è vero che un’azione che provoca grandi risultati debba avere per forza grandi
motivazioni e grandi ispiratori. I poteri palesi lasciano ai poteri occulti uno spazio vergognosamente
grande. Le mafie (e anche i servizi segreti, per intenderci) usano questo spazio per mettere in piedi
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