Page 93 - Potere criminale
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S. Veniamo al dibattito attuale sulla mafia e alle sue connotazioni. Spesso si fa ricorso al termine mafia anche per
situazioni nelle quali la mafia non c’entra nulla. Per citare il titolo di un libro di Nicola Tranfaglia, è prevalsa
l’idea della «mafia come metodo». Cosa comporta questo tipo di analisi?
L. Il discorso può essere interessante. Sicuramente esiste un metodo mafioso, sicuramente le classi
dirigenti locali e nazionali hanno una loro tradizione di tolleranza o anche di uso di illegalità di
questa o di altra natura. Spero solo che non si vada a nuove alienazioni del problema specifico,
all’ennesimo annacquamento generalista e generico.
S. Un magistrato come Roberto Scarpinato, titolare di importanti inchieste sulla mafia presso la Procura di
Palermo, nel suo libro «Il ritorno del Principe», parte dalla storia passata e recente di Cosa Nostra, per dimostrare
la tesi che violenza criminale, mafia e corruzione sono elementi costitutivi del potere italiano.
L. Conosco Scarpinato: è un magistrato valoroso e una persona colta. Però non sempre ci troviamo
d’accordo. In particolare, dal suo libro pare che nessun importante successo sia stato mai conseguito,
non dico in età liberale e in età fascista, ma nemmeno con Falcone e Borsellino, con Caselli e (che
paradosso!) con lo stesso Scarpinato. Se anche la bassa macelleria di Cosa Nostra ha ricevuto qualche
colpo, che importa? Il Principe – figura vaga e sfumata, quintessenza del discorso generalista e
generico sul potere – ha sempre comandato e continua a farlo. Se la mafia ha sempre vinto, è facile
dedurne che vincerà sempre: conclusione che da un lato è paralizzante per i «buoni» e dall’altro,
semplicemente, non è fondata nella realtà dei fatti.
S. A che punto è, secondo te, il dibattito interno all’antimafia?
L. Se ti riferisci alla magistratura di prima linea e alle istituzioni investigative, mi pare che siamo pur
sempre su una buona strada, quella imboccata già da molti anni. Se ti riferisci all’antimafia come
movimento, prendiamo atto che la situazione attuale, con la mafia postcorleonese apparentemente
così poco minacciosa, non ispira risposte militanti né tanto meno di massa. Dello spirito
dell’antimafia del passato resta molto nell’opinione antiberlusconiana, oggi sconfitta sul piano
nazionale e molto più su quello regionale siciliano. Io, che mi colloco a sinistra, sono preoccupato
dalla tendenza di tanti a leggere i risultati della lotta alla mafia attraverso il filtro di questa frustrazione
politica. Come cittadino, so che gli eccessi di frustrazione sono dannosi. Come studioso, so che i
piani dell’analisi vanno distinti.
S. Durante questa nostra conversazione abbiamo parlato a lungo del pendolo dell’antimafia, che si è spostato più
volte da destra a sinistra. Secondo te, oggi la lotta alla mafia è diventata patrimonio collettivo? E le iniziative
antimafia di governo, soprattutto quando il governo è di centrodestra, sono sempre per definizione insufficienti o di
facciata?
L. In teoria sia la destra che la sinistra possono fare la lotta alla mafia. Ma in pratica, nella situazione
storica italiana, credo che il centrodestra attuale abbia qualche difficoltà a portarla fino in fondo.
S. Quale peso ha avuto l’esperienza dei commercianti associati, avviata a Capo d’Orlando nel 1991 e ora, in
qualche modo, ripercorsa dalla Confindustria siciliana? Può essere un modello di antimafia concreta e meno
astratta che nel passato? Penso al movimento dei giovani di Addiopizzo, che invitano i consumatori a fare i propri
acquisti solo nei negozi dei commercianti pubblicamente impegnati a rifiutare l’estorsione mafiosa.
L. Sino a qualche tempo fa a Palermo molti negavano che fosse mai esistita quella cosa là – la mafia.
E se esisteva, stava a Roma, a Milano, dappertutto fuorché tra di loro. Sino a ieri, tutti i
commercianti palermitani negavano assolutamente di aver mai pagato il pizzo, disinteressandosi
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