Page 84 - Potere criminale
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provocati all’organizzazione della loro strategia stragista, abbiano detto ai gregari: sono nostri amici,
li abbiamo nelle mani, avranno bisogno di noi, ci salveranno. Questo però non vuol dire che le cose
siano andate (allora e poi) come dicevano, prevedevano o speravano.
S. Le ultime dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, attribuiscono però un
ruolo determinante a soggetti dei servizi segreti che agli inizi degli anni Novanta avrebbero allacciato rapporti con
Bernardo Provenzano per riuscire a catturare Riina. Secondo questa lettura, siamo di fronte a un’operazione in
cui uomini dello Stato cercano di mettere i boss l’uno contro l’altro...
L. Infatti. D’altronde avevamo pensato anche noi che per colpire una fazione si era deciso di salvarne
un’altra. La mancata perquisizione nel covo di Riina era un segnale troppo evidente. Aggiungiamo
che parliamo di un gioco antico e ben consolidato: come storici, sappiamo che non c’è mai stata
mafia senza questo tipo di relazioni con gli apparati di sicurezza.
S. Nelle bombe di via Fauro a Roma, negli attentati degli Uffizi a Firenze e nelle bombe di Milano e Roma del
luglio 1993, Cosa Nostra mostra la sua carica terroristica pura. Sono gesti altamente simbolici, più congeniali a
un gruppo eversivo che alla mafia...
L. In effetti, per il tipo di obiettivi prescelti e la loro localizzazione «continentale», siamo davanti a
un’ulteriore escalation.
S. Escludi che quegli attentati puntassero ad aprire un canale di dialogo con nuovi interlocutori politici?
L. Francamente continuo a non vedere come mosse del genere potessero essere utili a quel presunto
interlocutore. Se l’attentato all’Addaura, come disse Falcone, era opera di menti raffinatissime,
l’attentato fallito all’Olimpico contro un autobus di carabinieri non poteva che essere il frutto di
menti rozzissime. Parliamo di un nucleo militarista – von Clausewitz avrebbe detto che la guerra è
una cosa troppo seria per farla fare ai generali – prigioniero di una coazione a ripetere, convinto che
alzando sempre il tiro si potessero risolvere i problemi. Totò Riina era già in galera. Seguì l’arresto
di altri corleonesi a piede libero, da Leoluca Bagarella a Giovanni Brusca.
S. Continui a privilegiare le logiche interne di Cosa Nostra, ma non possiamo certo escludere che ci siano stati
suggerimenti e protezioni e consigli di «entità esterne», per usare la definizione del procuratore antimafia Piero
Grasso...
L. Non possiamo escluderlo. Lascia però che esprima il mio fastidio per questo tipo di
terminologia ormai dilagante sui media: nella sua voluta indeterminatezza, il termine entità mi fa
pensare alla metafisica, piuttosto che alla scienza politica o a maggior ragione al diritto. Per non farci
travolgere dalla retorica del «grande vecchio» che tutto sa e di tutti dispone, attacchiamoci al
concreto. Ci si vuol riferire a persone, fazioni e gruppi occulti, annidati nell’ordinamento
«maggiore» (lo Stato) o in quello «minore» (la mafia), adusi da gran tempo a trattare tra di loro. È
importante che si sappia delle consultazioni tra il «signor Franco», Ciancimino e Provenzano. Non è
però sufficiente; bisognerebbe sapere quali contenuti dessero, nella mutata congiuntura, alla pratica
antica della reciproca protezione. Logiche interne? I soggetti attivi nello scambio tra sovramondo e
sottomondo hanno più che altro logiche relazionali: si offrono l’un l’altro servizi, forniscono e
accettano consigli, accumulano crediti per il presente e per il futuro. Te lo ripeto: vedremo i risultati
delle indagini. Allo stato delle mie conoscenze, continuo a ritenere la scelta terroristica dei primi
anni Novanta come il frutto di una sorta di estrema coazione a ripetere, da attribuirsi in prima
battuta a quanti su quella strategia avevano in passato più degli altri puntato, sino a farne una sorta di
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