Page 75 - Potere criminale
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dell’antimafia: aveva ottenuto la carica di procuratore di Marsala, scrisse, facendosi forte dei titoli
          derivanti dalle sue inchieste su Cosa Nostra, a scapito dei titoli di anzianità del suo concorrente. In
          cauda  venenum:  l’attacco  a  Borsellino  era  spropositato.  Se  per  un  politico  fare  professionismo
          dell’antimafia può essere discutibile, per un magistrato lo specialismo nel campo è un titolo valido,
           non certo un demerito.

           S.  Credevo  allora  e  lo  credo  tuttora  che  l’attacco  di  Sciascia  a  Borsellino  fosse  sbagliato  e  nei  suoi  effetti

           sconcertante...

           L.  Ma  il  testo  è  tutto  sconcertante,  nella  sua  stessa  composizione.  Sembra  derivi  dalla
          sovrapposizione  di  parti  scritte  con  «mano»  diversa  e  con  diverse  finalità.  Aggiungo  che  la  parte
          finale  finisce  per  sminuire  il  valore  di  fondo  del  discorso,  che  posso  così  riassumere:  anche
           l’antimafia  è  mossa  da  interessi,  e  la  sua  aspirazione  alla  riforma  morale  non  ne  deve  nascondere
          l’intenzione politica. Ovviamente ciò non vuol dire che questo modo di far politica sia illecito, o

          peggio  strutturalmente  totalitario.  L’appello  al  realismo  interpretativo  potrebbe  essere  ribaltato
          contro Sciascia. Gli Stati Uniti sono un paese sicuramente democratico, nel quale ci sono stati molti
           movimenti  intesi  a  combattere  la  criminalità  organizzata  e  la  corruzione  politica  insieme;  e  nello
           stesso tempo a proporre se stessi come politica «nuova», riformatrice, moralizzatrice.

           S. La reazione all’articolo di Sciascia sarà violentissima, lo scrittore sarà tacciato di essere un «quaquaraquà»,
           definizione che lui stesso aveva coniato nel romanzo «Il giorno della civetta»...

           L.  Ironia  della  sorte.  Col  suo  testo  esagerato,  reticente  e  fuorviante,  Sciascia  si  era  messo  in  una

           posizione  debolissima.  Immagino  sia  stato  in  qualche  modo  contento  del  comunicato  del
           Coordinamento  antimafia,  che  lo  additò  come  traditore  e  complice  della  mafia,  decretandone
           addirittura  l’espulsione  dalla  società  civile.  Questo  concetto  era  sì  indicativo  di  una  mentalità
          protototalitaria. Nessuno, per definizione, può decidere dell’appartenenza altrui alla società civile.
           Mascherandosi da società civile, l’antimafia rifiutava di pensarsi come una parte politica, e dunque di

           ammettere la liceità di posizioni diverse dalla sua.

           S. Erano anni e ambienti in cui circolava la frase, tratta da un libro di Friedrich Dürrenmatt, «il sospetto è
           l’anticamera della verità».

           L.  Sul  fronte  antimafia  erano  schierati  ex  sessantottini,  gesuiti,  giovanotti  esagitati,  scolaresche
           plaudenti  a  elevati  sermoni  di  poliziotti,  magistrati,  prefetti.  C’era  in  larga  maggioranza  gente
           coraggiosa  e  perbene,  e  pazienza  se  qualcuno,  dopo  quegli  inizi,  si  lasciò  andare  a  sconcertanti
           trasformismi:  penso  a  Carmine  Mancuso,  Cristina  Matranga  o  padre  Pintacuda,  che  hanno
           cominciato  da  orlandiani  e  sono  finiti  berlusconiani.  Spirito  liberale  ce  n’era  poco.  E  c’era  una

           concezione  ingenua  dell’impegno  civile,  da  cui  Sciascia  era  lontanissimo:  spiegò  che  non  voleva
          essere arruolato nel loro fronte, perché non voleva essere arruolato in alcun fronte preconfezionato,
           perché non voleva sentirsi di nuovo negli anni Cinquanta.

           S. L’effetto dell’articolo di Sciascia non si esaurì, ma anzi ebbe lunga durata, travalicando perfino la morte dello
           scrittore. Nonostante tra Sciascia e Borsellino ci fosse stata una riconciliazione sul piano personale («In realtà
           scontro tra me e Sciascia non ve ne fu», puntualizzò Borsellino, intervenendo nel luglio 1991 a un convegno

           pubblico  a  Racalmuto),  dopo  la  strage  di  Capaci,  nell’estate  tragica  del  1992,  Paolo  Borsellino  disse
           pubblicamente che la morte di Falcone era cominciata con l’articolo di Sciascia sui professionisti dell’antimafia.
           Parole  ultimative  e  testamentarie,  perché  Borsellino  fu  trucidato  un  mese  dopo  questo  suo  discorso.  Parole  che
          lasciarono il segno...


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