Page 63 - Potere criminale
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meno gravi i fenomeni criminali «nascosti», regolandosi sul vento che soffia nelle istituzioni e nella
politica. Altre sollecitazioni avranno ricevuto gli stessi componenti della Commissione: l’audizione
di Carlo Alberto Dalla Chiesa – un intervento importante, da rileggere – non può non aver
provocato una forte impressione.
S. La ripresa del dibattito sulla mafia finì per avere contraccolpi anche dentro la Dc: l’elezione a sindaco di
Palermo di Vito Ciancimino, nel novembre 1970, venne accolta da accese reazioni in tutta Italia, perfino nello
stesso partito di maggioranza, costringendo Ciancimino alle dimissioni nel giro di cinque mesi...
L. Credo che all’interno della Dc non pochi abbiano considerato Ciancimino e Lima, alla luce dello
sviluppo degli eventi, come personaggi pericolosi. Qualcuno avrà capito che non era più il tempo,
per la classe dirigente, di guardare i mafiosi dall’alto in basso, come strumenti che alla bisogna
potevano essere facilmente messi al loro posto. Dall’altra parte, bisogna considerare il peso deteriore
della logica sicilianista del «siamo tutti sulla stessa barca», la ritrosia a dare argomenti al «nemico»
centralista e settentrionale. Tutti stavano bene attenti a non forzare sul tasto dei contrasti di tipo
etico-politico all’interno del partito di maggioranza (e nella stessa polemica tra maggioranza e
opposizione). Mi chiedo se mai sapremo qualcosa di più preciso. Ma, come abbiamo detto, né la Dc
in quanto tale né i maggiori notabili democristiani siciliani ci hanno lasciato archivi. Nessuno ci
propone un libro di memorie che non sia agiografico. Il percorso della storiografia è arduo.
S. Insomma sul passato è calato il silenzio.
L. Ricordi le risposte sprezzanti date dall’archivista palermitano alle mie richieste? La rimozione è
avvenuta con la complicità della città stessa, parliamoci chiaro. Prendiamo la vicenda del padre di
Salvo Lima che, come oggi sappiamo, era stato indicato dalla polizia come il killer di un importante
delitto di mafia. Eppure a Palermo, dove tutti sanno tutto di tutti, questo evento non è mai stato
rievocato da nessuno, tutti hanno descritto Lima come un uomo politico che forse, e solo per
ragioni elettorali, è entrato in contatto con la mafia. Penso allora a quanti scheletri nascosti negli
armadi della classe dirigente palermitana non verranno mai alla luce.
S. Una bellissima poesia si conclude con questi versi: «Saprò forse domani che questo splendido torpore / era fitto di
crude operazioni, ed anche / questo abbaglio / ingannevole ci ammalia... così è Palermo». Mario Luzi intuisce che
dietro la sua facciata, la città nutre una trama oscura di relazioni, spesso criminali.
L. In effetti. Resisteva, negli stessi ceti borghesi e intellettuali, la contrapposizione retorica tanto
indulgente quanto depistante tra la mafia tradizionale, protettiva e bonaria, e quella attuale – così
inspiegabilmente ridottasi a delinquenza! Sotto c’era la paura dei ceti dirigenti di un proprio passato,
familiare e di classe, che si sapeva o si sospettava ben distante dalle rappresentazioni bonarie. Molto
più facile era negare che la mafia fosse cosa pericolosa ovvero – il che è lo stesso – proiettare il
problema verso una dimensione simbolica tanto rarefatta quanto innocua.
S. È ancora così?
L. No di certo, perché cose tremende sono successe e moltissimo, nella percezione pubblica della
questione mafiosa, è mutato, sicuramente in meglio. Lasciami però solo esprimere la mia
insofferenza per le innumerevoli citazioni del Gattopardo, le compiaciute autocalunnie sugli
insanabili difetti dei palermitani, sulla Palermo irredimibile, di cui tanto gli intellettuali cittadini si
compiacciono. A me sembrano trappole retoriche paralizzanti, destinate a confermare per sempre
l’esistente.
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