Page 60 - Potere criminale
P. 60
S. In ogni caso, lo ammetti tu stesso, i mafiosi di Corleone – che i palermitani di città con disprezzo
continueranno a chiamare sempre «viddani», cioè cafoni e contadini – sbarcano a Palermo. E si appropriano di
molti affari...
L. Sì. Bisogna considerare anche il ruolo assunto nella politica cittadina dal corleonese Vito
Ciancimino. Però, guarda, io direi che è sempre esistita una grande provincia mafiosa che fa centro
sulla città e le sue borgate, che lungo la costa va da Partinico a Bagheria, mentre verso l’interno si
spinge fino a Corleone. Ricordiamoci del ruolo svolto da Francesco Cuccia, nel dopoguerra
precedente, sull’asse tra Piana degli Albanesi e Palermo.
S. I successi dei corleonesi non indicano in questa fase già una netta discontinuità?
L. In effetti no. Comunque questi successi andrebbero rapportati al permanente peso dell’antica
mafia delle borgate. Penso a Paolino Bontate e a suo figlio Stefano, il «principe di Villagrazia»; penso
ai Greco di Ciaculli e Croceverde-Giardini, eredi di dinastie che le nostre attuali ricerche storiche
mostrano insediate nelle borgate da quasi un secolo. Si potrebbero fare molti altri esempi. Quanto ai
leader democristiani che si sostengono su costoro e ne vengono sostenuti, va bene, c’è il corleonese
Ciancimino, però c’è anche Salvo Lima, il cui padre è stato di recente indicato come un personaggio
importante della mafia palermitana degli anni Trenta. C’è Giovanni Gioia, legato da numerosi
vincoli di parentela con pezzi dell’élite borghese cittadina. Risulta insomma evidente la centralità
della mafia palermitana con tutte le sue relazioni.
S. La cosiddetta prima guerra di mafia, destinata a esplodere all’inizio degli anni Sessanta, è preceduta dagli
scontri per il controllo del mercato generale, dalle grandi speculazioni edilizie e soprattutto dal narcotraffico. È la
droga a innalzare il volume degli interessi e il livello dello scontro...
L. È infatti la fase dell’inserimento di alcuni gruppi mafiosi nei lucrosi traffici di droga, in
collaborazione con i cugini americani e con destinazione America. Palermitani, trapanesi, persino
qualche catanese, aggiungono il narcotraffico al contrabbando dei tabacchi. Tra essi troviamo un
esponente di punta della già citata famiglia Greco, Salvatore Greco detto l’Ingegnere; giovani privi di
background mafioso, provenienti dal centro città, come Tommaso Buscetta; un personaggio come
Tano Badalamenti, che mette a frutto un consolidato asse familiare Cinisi-Detroit.
S. Eppure Buscetta ha negato che la mafia dei suoi tempi trafficasse in droga...
L. Sì, ma ha mentito. Può darsi volesse dire che le famiglie, dedite ad attività legate al controllo
territoriale (l’estorsione, i subappalti edilizi, le cave di pietra), non erano direttamente coinvolte nella
gestione dei traffici a lunga distanza. Di certo erano coinvolti singoli affiliati, i quali coinvolgevano
gli amici, e amici degli amici non necessariamente affiliati – è il caso di Masino Spadaro, l’«Agnelli
del contrabbando», come si definì lui stesso. Parliamo di un sistema duttile, che lavora in diverse
direzioni e fornisce diverse opportunità di potere e guadagno.
S. È proprio il business del narcotraffico al centro del summit all’hotel delle Palme di Palermo che si svolge tra il 12
e il 16 ottobre 1957, quando Joe Bonanno arriva dagli Stati Uniti per incontrare i capi della mafia siciliana?
L. È molto accreditata l’ipotesi che si sia parlato di eroina. Credo che il castellammarese Bonanno, in
grandi difficoltà nell’élite criminale newyorkese per l’ostilità che lo contrapponeva all’astro nascente
Carlo Gambino, abbia trattato per proprio conto e per fare affari in proprio. Tornato in America,
trovò che Gambino e i suoi avevano eliminato il loro boss Albert Anastasia, facendogli fare (ad
alcuni anni di distanza) la stessa fine del loro precedente boss, e grande amico di Bonanno, Vincenzo
60