Page 55 - Potere criminale
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democristiani l’hanno fatta, mentre i comunisti votarono contro, ma per la storiografia comunista è
come se la riforma l’avesse fatta il Pci, mentre la Dc la sabotava.
S. Attraverso gli strumenti e il peso del Pci, in ogni caso, la voce di scrittori e giornalisti siciliani riesce a farsi
sentire in tutta Italia. Addirittura nel mondo, nel caso di un personaggio come Michele Pantaleone, autore di un
libro di grande risonanza...
L. Dirigente socialista di Villalba, rampollo di un’eminente famiglia locale, Pantaleone collabora
negli anni Cinquanta alle grandi inchieste sulla mafia del giornale «L’Ora». Sulle pagine del
quotidiano di Palermo espone per la prima volta la sua teoria del complotto mafia-alleati, di cui
abbiamo già parlato. Ma soprattutto assume a bersaglio il suo avversario politico e personale su scala
paesana, Calogero Vizzini, facendone con molta esagerazione il grande capo della mafia siciliana e
forse mondiale. La fama dell’uno e dell’altro decolla grazie al libro Mafia e politica, scritto da
Pantaleone e pubblicato (grazie a Carlo Levi) dalla massima casa editrice di cultura nazionale, la
torinese Einaudi, la stessa che pochi anni prima aveva bocciato Il Gattopardo. Il volume viene
tradotto in tutte le lingue, Villalba diventa la capitale mondiale della mafia, Pantaleone il suo
interprete.
S. Pensi che nella sua ricostruzione Pantaleone abbia esagerato?
L. Senz’altro. Dalle testimonianze successive dei pentiti, sappiamo che Vizzini non era un elemento
di spicco nella gerarchia mafiosa e Villalba non era certo un importante centro di mafia. Però Vizzini
era un gabelloto e un imprenditore minerario molto noto, certamente coinvolto negli intrighi
mafiosi: senza dubbio era stato un personaggio importante negli anni caldi del dopoguerra, a cavallo
tra destra separatista e destra democristiana. L’episodio più noto riguarda il conflitto a fuoco tra
separatisti e social-comunisti nella piazza di Villalba in occasione del comizio del leader del Pci
Girolamo Li Causi, accanto al quale c’era lo stesso Pantaleone. Dunque, esagerazioni a parte, il
problema è che negli anni Cinquanta l’immagine della mafia viene elaborata esclusivamente
attraverso la lente della politica e in una logica fortissima di schieramento. La stessa sparatoria di
Villalba rappresenta uno scontro politico, come tale venne rivendicata dai separatisti. Eppure, in
maniera davvero improbabile, viene dipinta in genere – ancor oggi – come una «strage» (sebbene,
per fortuna, non morì nessuno), analoga a quella di Portella delle Ginestre.
S. Sarà pure una costruzione artificiosa o retorica, ma questa che tu chiami la costruzione di un’immagine della
mafia e dell’antimafia ha prodotto pagine memorabili di letteratura civile. Penso a quando Carlo Levi, nel libro
«Le parole sono pietre», dà voce a Francesca Serio, la madre di Salvatore Carnevale, il segretario della Camera del
Lavoro di Sciara, assassinato nel maggio 1955.
L. Levi scrive che la madre di Carnevale parla «un linguaggio di partito». È interessante l’uso non
pudico di questo termine, da parte di uno che non era certo un intellettuale di partito: un linguaggio
che in altra bocca apparirebbe povero, perché la lingua del partito è povera, ci fa capire Levi, riesce a
diventare un linguaggio epico. È un passaggio bellissimo del libro. Queste non sono sconfitte, ma
vittorie culturali. Ecco come la capacità di un’opposizione che poteva atteggiarsi a bolscevica,
tagliandosi fuori dalla vita nuova della nazione, trova invece un grande spazio sociale, di immagine e
di comunicazione per condurre la propria battaglia politica.
S. Secondo questo tuo ragionamento, la battaglia antimafiosa del Pci nella Sicilia degli anni Cinquanta è più di
parole che di sostanza?
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