Page 54 - Potere criminale
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Carnevale. La sinistra è il bersaglio dell’attacco mafioso agli esponenti più in vista delle lotte contadine...
L. Anche nel dopoguerra precedente erano caduti molti sindacalisti sotto il piombo mafioso. Nei
paesi siciliani l’assassinio politico era pratica antica, i gruppi non integrati in sistemi mafiosi
rischiavano di avere vittime nelle loro file. Questo vale per i socialisti, per i comunisti e per i
democristiani. Se la maggior parte dei caduti è socialista, forse lo si deve al fatto che i socialisti erano
inseriti nelle lotte paesane molto più dei comunisti, finendo per pagarne il prezzo più duro. O forse
ci sono altre ragioni. Ma questa è solo un’ipotesi, perché una matura riflessione storiografica
sull’argomento specifico è di là da venire.
S. Si dice che per capire da quale parte sta la mafia basta vedere a chi spara. Se in questi anni cadono così tanti
uomini della sinistra, possiamo dire che proprio in questa fase, e sul sangue di queste vittime, si costruisce la
tradizione di un’antimafia di sinistra?
L. Abbiamo visto l’antimafia della destra storica e l’antimafia fascista. Adesso, molto più che ai tempi
del delitto Notarbartolo, si configura un’antimafia della sinistra. I social-comunisti anzi ne hanno
quasi il monopolio, perché nello schieramento governativo centrista cala una grande inedita censura
sul tema. La sinistra è la sola a parlare della mafia. Ne derivano due conseguenze logiche senz’altro
forzate (se non del tutto erronee), ma comunque destinate a segnare la formazione della mia
generazione. Primo: ci si convince che parlare di mafia corrisponda comunque a parlare contro la
mafia. Secondo: si fa strada l’idea che quello antimafia coincida necessariamente con un discorso di
sinistra, centrato sulla contestazione del latifondo, della borghesia e del capitalismo.
S. Ma per costruire questa proposizione così rilevante e convincente, non bastano solo i morti ammazzati e la loro
commemorazione. Ci vuole ben altro...
L. Certo. Ci vuole una grande capacità di elaborazione di discorsi etico-politici, in altre parole viene
fuori il capitale sociale della sinistra gramsciana e togliattiana, così come di quella socialista e di quella
azionista, emarginate in un ruolo di opposizione perenne dalla guerra fredda e dalla logica centrista.
La Dc viene accusata di tradimento nei confronti della sua vocazione «ciennellista», democratica,
repubblicana e antifascista. Per altro su questo discorso, come sull’altro di portata nazionale sulla
Resistenza tradita, i comunisti si mantennero sempre prudenti, timorosi di sembrare moralisti. Il
maggior contributo alla polemica venne non tanto da loro, semmai dai socialisti e soprattutto da
intellettuali di sinistra non inquadrati nel Pci. Prendiamo i più impegnati: Pantaleone e Simone
Gatto erano socialisti, Carlo Levi proveniva dal Partito d’azione e restò sempre un intellettuale non
organico, Sciascia era un indipendente.
S. Il Pci si limitò ad amplificare le parole degli intellettuali di area?
L. Diciamo che offrì loro strumenti importanti e autorevoli di diffusione degli interventi, come fece
il giornale «L’Ora» diretto da Vittorio Nisticò. Anzi, vorrei saperne di più sull’estrazione politica dei
giornalisti di punta del quotidiano palermitano: forse emergerebbero percorsi più complessi del
prevedibile.
S. Resta il fatto che il Pci fu uno dei pochi partiti, forse l’unico, a farsi carico o comunque ad assumere come propri
sostenendoli i discorsi e le polemiche contro la mafia portati avanti da quei giornalisti e intellettuali...
L. Per il Pci la polemica sulla mafia coincise con quella contro la Dc, indicata come la parte peggiore
del potere tradizionale. A ragione, per quanto riguarda la mafia, ma anche a torto. Non so infatti se
la Dc fosse così conservatrice come la si descriveva. Prendiamo la questione della riforma agraria: i
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