Page 51 - Potere criminale
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S. Ma non c’erano veri antifascisti?
L. Gli americani cercavano gli antifascisti, i socialisti e i cattolici, ma in alcune zone trovarono i
separatisti e i mafiosi, e non si crearono tanti problemi. Peraltro tutto questo non c’entra con i
comandi militari, che erano cosa ben distinta. La mia impressione è che l’Amgot nei suoi pochi mesi
di governo abbia fatto uso della mafia come qualsiasi altro governo della Sicilia.
S. Pochi mesi, ma fondamentali. Mesi in cui in genere si dice che la mafia abbia ripreso potere e vigore...
L. Sì, ma è la straordinaria congiuntura storica a rappresentare di per se stessa una straordinaria
occasione. C’è la dissoluzione dello Stato oltre che del regime. C’è il separatismo, l’unico
movimento politico in cui la mafia si sia identificata pienamente, attivamente, in maniera non
strumentale. Tutta questa complessità non può essere ridotta alla dimensione del complotto, e a
maggior ragione del complotto straniero. I documenti ci mostrano i capimafia che andarono ad
accogliere gli americani inneggiando alla democrazia e vituperando il fascismo. È vero che furono
mesi cruciali: tutto avvenne in tempi rapidissimi, nel giro di poche settimane. Prendiamo ad
esempio il rapporto del capitano americano Scotten, scritto a breve distanza di tempo dallo sbarco.
Di fronte alle turbolenze sociali, al mercato nero, alla presenza di molti sbandati diventati banditi,
Scotten si chiede se la mafia possa essere un utile alleato nel controllo dell’ordine pubblico. E
risponde: sì, forse sarebbe utile, ma io lo sconsiglio, perché una tale operazione sarebbe moralmente
riprovevole e politicamente compromettente. Aggiunge peraltro: è vero che non abbiamo truppe
sufficienti per la repressione del banditismo, allora prendiamo tempo. Insomma, la scelta di non fare
nulla.
S. Perché questa fase viene comunemente considerata il momento di rifondazione della mafia nella nascente
democrazia italiana?
L. Perché la leggenda si vende bene nel dibattito dell’opinione pubblica, in Italia come in America.
Basta ricordare che l’atto di scarcerazione di Luciano porta la firma di Thomas E. Dewey, uno degli
uomini politici più importanti degli Stati Uniti e non ci fu avversario di Dewey che negli anni a
seguire non gli rinfacciasse quella firma. Quando Luciano, scarcerato ed esiliato in Italia, tornò a
essere accusato di essere a capo di un grande business, l’esportazione di droga dall’Europa agli Stati
Uniti, la firma di Dewey diventò ancora più imbarazzante.
S. E in Italia?
L. Sul versante italiano c’erano tutto l’antiamericanismo e l’idea, ancor oggi pervicacemente
resistente, che la mafia fosse il prodotto della guerra fredda, e si spiegasse in relazione ai suoi intrighi.
L’idea secondo cui qualcuno a Washington abbia tramato per promuovere le fortune della mafia ci
risparmia qualunque complicazione interpretativa e qualche senso di colpa. Persino Andreotti avalla
la teoria del complotto. Perché? Perché non si dica che la gran parte delle responsabilità sono sue –
insomma, della Democrazia cristiana. Fatto sta che la Dc ha amministrato la Sicilia per cinquant’anni,
mentre gli alleati solo per sette mesi.
S. Eppure è un discorso sostenuto a lungo a sinistra, forse non solo a causa dell’antiamericanismo...
L. Te lo ribadisco: l’idea del grande regista, del supremo burattinaio, ci semplifica la vita, per quanto
poco sia vera o appena verosimile. Nessun documento ne dà conferma, ma (osservano i furbi) non
esiste documento che possa smentirla.
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