Page 46 - Potere criminale
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S. La vogliamo raccontare, visto che Luciano è il personaggio centrale della leggenda di cui abbiamo parlato?

           L. Emigrato negli Stati Uniti da bambino, assieme alla famiglia, all’inizio del Novecento, Luciano
           era  originario  di  Lercara  Friddi,  nel  centro  della  Sicilia,  al  confine  tra  le  province  di  Palermo  e
          Agrigento. Non si conoscono sue relazioni né di parentela né di altra natura con mafiosi siciliani,
           contrariamente  agli  altri  di  cui  abbiamo  parlato.  Nulla  giustifica  l’idea  di  Pantaleone  che  Lucky
          Luciano, dalla prigione americana dove si trovava detenuto, abbia potuto avere un’influenza nella

          gestione dell’organizzazione siciliana e quindi un qualsiasi ruolo nel 1943, alla vigilia dello sbarco
          anglo-americano in Sicilia. Se qualcuno poteva avere un ruolo non era certo Luciano, semmai gente
          come i Bonanno, i Magaddino, i Profaci, i Mangano.

           S. Che continuavano invece ad avere rapporti fitti con la Sicilia...

           L. Per quel che riusciamo a capire, indirettamente e da prove dirette, erano emigrati più di recente e
           in  età  adulta,  e  soprattutto  appartenevano  già  in  partenza  a  gruppi  mafiosi  siciliani,  cosa  che  per
           Luciano non si è mai potuta dimostrare...


           S. I fondatori della Cosa Nostra americana erano andati via dall’Italia per sottrarsi alle campagne del prefetto
           Mori?

           L. Molti erano andati via prima dell’avvento del fascismo, comunque prima dell’operazione Mori.
          La  tesi  opposta,  fatta  propria  dalle  fonti  ufficiali  americane  e  ripetuta  acriticamente  da  molti,  è
          sbagliata proprio per ragioni elementari di cronologia. I nostri antieroi invece lasciarono la Sicilia –

          nonostante la legislazione si fosse fatta molto restrittiva e dunque utilizzando canali clandestini –,
          perché l’emigrazione era fruttifera, perché in America c’era il proibizionismo e lì avrebbero fatto i
          soldi. La repressione del fascismo in effetti provocò la fuga di altri, ma non egualmente importanti.
          Comunque i rapporti tra le due sponde dell’oceano restarono sempre piuttosto fitti. C’era un bel po’
          di gente che andava in continuazione su e giù per l’oceano.

           S. Stupisce molto che in un’epoca di viaggi lunghi e complicati ci fosse gente che faceva spola tra l’Italia e gli
           States con una tale frequenza...


           L.  Nick  Gentile,  mafioso  di  Siculiana,  che  ci  ha  lasciato  un  interessantissimo  libro  di  memorie
           (curato da un grande giornalista come Felice Chilanti), andò di qua e di là per una dozzina di volte.

           S. Muoversi in continuazione rientrava anche in una logica di relazioni mafiose?

           L. Certo, anche se non è facile approfondire il tema. Prendiamo Nick Gentile, ad esempio. Non si
           capì  mai  se  volesse  stare  da  una  parte  o  dall’altra:  ogni  volta  sembrava  che  volesse  tornare
          definitivamente, e ogni volta ripartiva. Lui racconta di questioni familiari, di intrighi politici e di

          potere,  di  vendette,  affari  leciti  o  illeciti  su  entrambi  i  versanti.  Sappiamo  che  negli  anni  Trenta
          commerciava  in  morfina,  e  io  penso  lo  facesse  già  negli  anni  Venti,  reinvestendo  i  profitti  nel
          contrabbando degli alcolici. Sappiamo comunque che moltissimi emigrati onesti facevano gli stessi
          percorsi, a seconda delle necessità, a seconda del fatto che trovassero lavoro oppure no, in base alle
          congiunture economiche e agli affari, per raggiungere i parenti o la moglie.

           S. Molti tornarono in Sicilia dopo la recessione del ’29.

           L.  Molti  tornarono  nel  ’29.  Le  congiunture  economiche  o  politiche,  come  le  guerre  mondiali,

          provocavano trasferimenti e nessuno sapeva se fossero definitivi o temporanei.




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