Page 43 - Potere criminale
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del suo impegno antimafioso.
S. Ti sembra che questi procedimenti abbiano dato risultati sul versante dei rapporti tra mafia e politica?
L. Fino a un certo punto, forse perché allora mancava lo strumento giuridico per colpire questo tipo
di comportamenti. Peraltro Cucco, per quanto emarginato dalla politica «ufficiale», aveva buoni
avvocati e conservava probabilmente alcuni appoggi. Nota che, per quanto assolto, non venne
automaticamente riabilitato. Il nuovo segretario nazionale del Pnf, Achille Starace, si rifiutava di
incontrarlo e scrisse a Mussolini di stare bene attento, se Cucco si fosse presentato, a non riceverlo.
Fu solo nel ’39, con la caduta di Starace, che l’ex federale ritornò clamorosamente in prima fila e
addirittura diventò vicesegretario nazionale del partito.
S. La parabola di Cucco ci mostra un personaggio, legato ad ambienti mafiosi, che a un certo punto proclama di
essere antimafioso, perché il regime ha deciso di intestarsi la battaglia contro la mafia...
L. Ma, come abbiamo detto, solo quando i risultati elettorali non ebbero più importanza i fascisti
puntarono propagandisticamente sulla lotta alla mafia.
S. In ogni caso, l’opzione antimafia viene assunta come un valore positivo. È così?
L. Valore che poi è un disvalore, perché Cucco diceva: «Io sono antidemocratico quindi sono
antimafioso». I socialisti avevano fatto dell’antimafia nel primo dopoguerra e anche prima, pagando
pesanti prezzi di sangue, ma non direi che abbiano presentato questa battaglia come un elemento
centrale della loro identità politica. Non poteva essere, perché la loro rivoluzione non voleva certo
presentarsi come legalitaria. D’altronde i socialisti «ufficiali» erano nel complesso della vita politica
isolana piuttosto deboli. Nel 1919 non ne era stato eletto nemmeno uno, nel ’21 le cose erano andate
solo un po’ meglio. Quanto al gruppo storicamente più importante della sinistra siciliana, quello
socialriformista, c’erano al suo interno le persone perbene, ma anche i collusi. Per trovare loro prese
di posizione rilevanti su questo versante bisogna risalire al delitto Notarbartolo.
S. Comunque i fascisti furono i primi a presentare la mafia come un disvalore in sé, da condannare e rifiutare,
quantomeno nelle prese di posizione pubbliche. Mi pare che questo accada per la prima volta nel dibattito
pubblico...
L. Per certi versi è vero, soprattutto se pensiamo all’apologetica di Vittorio Emanuele Orlando. Per
altri versi però il fascismo, che proponeva un modello da noi abbastanza distante (e qualche volta
repellente) di virtù civica, pretendeva addirittura di riappropriarsi dei codici mafiosi. Mori diceva ai
siciliani: la vostra virilità, il vostro coraggio, la vostra capacità di farvi giustizia da soli è un valore
nazionale. Ecco ancora l’eterno Pitrè! Mori definiva l’omertà come un valore positivo, in passato
deformato, ma ora pronto a essere messo al servizio dello Stato e del fascismo.
S. Perché si scelse lo scontro piuttosto che tentare di coinvolgere la mafia nella fascistizzazione della Sicilia?
L. Potrei dire perché mafia e fascismo erano troppo simili, e dunque concorrenti. Il fascismo inoltre
aveva un disegno di nazionalizzazione autoritaria incompatibile con un potere locale di questo
genere, specie per come il potere mafioso era cresciuto in maniera abnorme nel dopoguerra,
strumentalizzando i movimenti collettivi, inserendosi in cooperative agricole e partiti paesani. Il
fascismo scioglieva perfino i circoli ricreativi, chiudeva i caffè: troppo forte era l’ossessione
dell’inquadramento totalitario, l’ostilità per qualsiasi moto proveniente dal basso e dalla periferia.
S. Resta allora da capire perché e come la mafia riuscì a sopravvivere.
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