Page 39 - Potere criminale
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L. Direi di no. Le fonti sono concordi nel dirci che, nel Palermitano soprattutto, il listone fascista
del ’24 aveva al suo interno alcuni dei più importanti gruppi mafiosi. Non tutti e non dappertutto,
certo.
S. Va collocato in questo periodo, se non sbaglio, il famoso comizio di Vittorio Emanuele Orlando a Palermo
quando disse: «Se la mafia è senso dell’onore e resistenza alla sopraffazione, allora io sono il primo dei mafiosi».
Un discorso spesso indicato come il classico tic del politico pronto a difendere la mafia. Mi chiedo se invece le parole
di Orlando non siano state pronunciate in un altro senso, in un significato antifascista. È possibile?
L. Attenzione. Nel ’24 Orlando era ancora alleato con Mussolini, ma poi rompe quando vede che la
«rivoluzione» fascista non può essere riassorbita negli usuali canali trasformisti. E nel ’25 capeggia la
lista liberale antifascista nelle elezioni amministrative palermitane. In questo caso sì, la sua apologia
della mafia voleva avere un significato antifascista, di difesa del vecchio mondo siciliano da una
minaccia dipinta nello stesso tempo come moderna e tirannica. Che paradosso! Bada però: parliamo
di un discorso, insomma di una retorica, visto che, come abbiamo accennato, buona parte dei
gruppi mafiosi in quel momento erano schierati col fascismo. La retorica è la solita, la stessa di Pitrè:
se voi mi date del mafioso perché sono siciliano, allora sì, lo rivendico, perché il siciliano è uomo
d’onore; se invece intendete per mafioso il delinquente, la cosa non mi riguarda. Insomma Orlando
sperava di recuperare qualche voto suonando la grancassa sicilianista.
S. La repressione viene affidata al prefetto Cesare Mori, un funzionario dello Stato peraltro non di stretta fede
fascista. In che momento scatta l’operazione?
L. L’operazione Mori inizia nel momento in cui il fascismo ha appena vinto la sua battaglia, subito
dopo le elezioni amministrative del 1925. Dopo di allora, elezioni non se ne faranno più. E infatti il
numero uno del fascismo palermitano, l’ex nazionalista Alfredo Cucco, va da Mussolini e dice:
«Adesso dovremo liberarci delle clientele più o meno mafiose di cui ci siamo serviti per vincere le
elezioni e che non ci serviranno più». Cucco nella sua autobiografia la racconta più o meno così.
S. L’operazione Mori, oltre al ristabilimento dell’ordine pubblico, aveva anche uno scopo politico?
L. Certo, ma non si trattava tanto di far fuori l’opposizione liberale: i liberali si erano già ritirati dalla
competizione o erano intenti a mascherarsi da fascisti. L’obiettivo politico assegnato a Mori ricadeva
all’interno del fascismo stesso. Parliamo di una variante regionale, siciliana, della generale epurazione
del Partito nazionale fascista, intrapresa dalla segreteria di Augusto Turati a partire dal ’26. I vari ras
del fascismo padano o toscano, giovanotti senza scrupoli impegnati a crearsi una carriera o una
posizione, furono accusati di corruzione e di ogni genere di nefandezze. Le accuse erano fondate? In
parte. In parte erano strumentali.
S. Nella scelta del regime di mandare a Palermo il prefetto Mori, un «continentale», sembra resistere la lezione di
Franchetti secondo cui solo gli stranieri potevano sradicare la mafia dalla Sicilia.
L. Mori era un poliziotto che veniva dai ranghi e conosceva bene la Sicilia. Lo possiamo dire quasi
specializzato in Sicilia: era stato prima questore, poi prefetto di Trapani. Era considerato antifascista,
perché quale prefetto di Bologna, tra il ’21 e il ’22, aveva contrastato lo squadrismo (contrariamente
agli altri suoi colleghi). Nel ’19 aveva fatto caricare dalla polizia e poi arrestare molti nazionalisti
durante le manifestazioni pro Fiume. Era un uomo di Francesco Saverio Nitti, l’arcinemico dei
fascisti.
S. E nonostante tutto Mussolini sceglie Mori. Perché?
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