Page 36 - Potere criminale
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canalizzando la violenza esclusivamente all’interno delle relazioni tra gli stessi facinorosi.

           S. Perché i mafiosi si decisero a violare quel tabù?

           L. Perché Notarbartolo, dopo essere stato allontanato dalla direzione del Banco di Sicilia, era venuto
           a sapere che i fondi dell’istituto di credito erano stati impiegati segretamente in una speculazione al
           rialzo  sui  titoli  azionari  della  Navigazione  generale  –  ovvero  a  sostegno  degli  interessi  del  più
           importante gruppo economico e di potere palermitano, rappresentato dalla famiglia Florio. Aveva

           speculato per proprio conto anche un deputato palermitano non di primo rango, Raffaele Palizzolo,
           ben noto per le sue relazioni mafiose: in quell’occasione utilizzò broker finanziari legati ad ambienti
           criminali, abituati a operare su scala internazionale. Siamo dunque in una trama di grande politica e
           di grande finanza. Ancora una volta, interessi moderni per definizione! Palizzolo, a quanto sembra,
           commissionò  il  delitto  ai  suoi  protettori-protetti  della  cosca  di  Villabate  nel  timore  che  se
           Notarbartolo fosse tornato a guidare il Banco avrebbe richiesto un’inchiesta.

           S. Colpire un esponente dell’aristocrazia e del potere siciliano provocò una reazione fortissima...


           L. Possiamo dire che in questa fase nasce un movimento antimafia assimilabile al concetto moderno
          che ne abbiamo oggi. Palizzolo viene a lungo coperto dall’autorità giudiziaria e di polizia, ma poi è
           incriminato  e  infine  arrestato.  A  creare  lo  scandalo,  a  incalzare  lungamente  le  autorità  locali  e
           nazionali  perché  si  faccia  giustizia,  è  un  movimento  trasversale  tra  destra  e  sinistra.  La  famiglia
           Notarbartolo si appoggia sul mondo delle classi dirigenti, politicamente liberal-conservatore, di cui
          faceva parte la vittima, ma dà l’incarico di patrocinare la parte civile all’avvocato socialista Giuseppe

          Marchesano.  E  dal  mondo  radical-socialista  provengono  i  più  noti  membri  di  questo  fronte
          antimafia,  come  Napoleone  Colajanni  e  Giuseppe  De  Felice  Giuffrida  (siamo,  non
          dimentichiamolo,  all’indomani  della  repressione  dei  Fasci  socialisti  siciliani).  Sulla  stessa  linea
           convergono  anche  il  «Giornale  di  Sicilia»  e  una  vasta  parte  dell’opinione  pubblica  palermitana,
           siciliana e nazionale.

           S. E sull’altro fronte chi c’è?


           L. Dall’altro lato, ci sono gli amici politici di Palizzolo, i Florio, che schierano in campo il loro
           quotidiano,  «L’Ora»,  e  c’è  un  movimento  accesamente  regionalista  (il  Pro  Sicilia)  che  riproduce
           imperturbabile la solita tesi – Palizzolo viene perseguitato perché siciliano –, sfruttando lucidamente
          qualche  caduta  di  stile  simil-razzista  della  stampa  nazionale.  Entrambi  gli  schieramenti,  come
           vediamo, hanno importanti argomenti e strumenti di pressione. Il fatto che i processi si svolgano
           fuori dalla Sicilia – a Firenze, Bologna, Milano – ne amplifica ancor più la portata, dando rilievo
           nazionale al dibattito attorno alla mafia.


           S. Immagino che lo schieramento pro Palizzolo abbia iscritto sulla sua bandiera il paradigma mafioso...

           L. È proprio Pitrè a illustrarlo, quando viene chiamato dalla difesa a testimoniare al processo. Certo
           è mosso da un intento regionalistico, ma anche dalla rete di amicizie e di clientele che lo collega
           direttamente  a  Palizzolo.  Nell’aula  del  processo  ripropone  la  sua  tesi,  quindici  anni  dopo  averla
          scritta,  negando  l’esistenza  stessa  della  mafia  come  organizzazione  criminale.  Dopo  la  sua

          deposizione, commenterà così l’avvocato Marchesano: «Pitrè è un ottimo folclorista, ma un pessimo
          testimone, perché invece di spiegarci cos’è la mafia, ci ha spiegato cosa non è».

          S. Negli stessi anni del processo Notarbartolo, probabilmente sotto l’influenza del furioso dibattito pubblico che lo
           accompagnava, lo scrittore Luigi Natoli – giornalista repubblicano, storico autodidatta, erudito e prolifico autore di


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