Page 34 - Potere criminale
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alla mafia.
S. Con Pitrè comunque si avvia quel processo culturale che tende a negare l’esistenza stessa della mafia...
L. Si va verso una negazione totale. La mafia non esiste e se esiste è solo un comportamento. Quanto
ai continentali che fantasticano di associazioni criminali, vogliono calunniare la Sicilia.
S. Nella scia di Pitrè si collocheranno anche uno scrittore come Luigi Capuana e molti altri intellettuali, spesso in
buona fede.
L. Perché il paradigma mafioso si costruisce non solo per interesse diretto di alcuni – e penso agli
avvocati difensori dei mafiosi, ai politici e ai proprietari collusi –, ma anche su un’idea di orgoglio
regionalista che vuole uscire da uno stato di minorità durato fino al 1875, che rivendica una pari
dignità nazionale.
S. Stiamo analizzando la nascita del paradigma mafioso, cioè la negazione stessa dell’esistenza del fenomeno
criminale. Ma in questi stessi anni trova identità forte il fronte che oggi potremmo definire antimafioso. Mi piace
tornare al caso che abbiamo citato in precedenza, quello del dottor Gaspare Galati. Possiamo individuare questo
episodio come una protoantimafia o il dottor Galati nel 1874 non sa di essere antimafioso, ma rivendica solo un
diritto? E il fatto stesso di rivendicare un diritto è già antimafia?
L. Il dottor Galati sicuramente si rendeva conto di fare una battaglia di tipo generale partendo dalla
sua personale esperienza. Era indignato: non solo difendeva un suo interesse, ma anche la legge quale
la si ritrovava nei codici, qual era affermata nelle carte fondative del regno d’Italia. Galati denunciava
l’esistenza di trame, la tolleranza della pubblica autorità nei confronti dei mafiosi. Mi pare che ci sia
quasi tutto quanto può interessarci: abbiamo molte delle componenti del paesaggio dell’antimafia.
S. È già un’antimafia consapevole o solo un episodio isolato?
L. Molto consapevole, e conforme ai dettami del liberalismo, era la protesta contro la diminutio del
diritto di proprietà, derivante dai condizionamenti mafiosi. I proprietari erano il fondamento
dell’opinione pubblica e delle pubbliche libertà. Questo lo sapevano bene i mafiosi stessi perché,
checché ne dicesse Galati, alla fine nessuno dei proprietari veniva ammazzato. Il capomafia
Giammona, di cui Galati lamentava le prepotenze, non risulta abbia mai fatto degli attentati veri e
propri contro i proprietari. Piuttosto, non appena alcuni dei suoi accoliti minacciarono di rapire i
figli di illustri personaggi, lui li fece ammazzare. Giammona aveva ben chiaro che il suo compito era
di mantenere l’ordine, condizionando i proprietari, ma senza scontrarsi con loro, perché altrimenti
ne sarebbe uscito con le ossa rotte. Lo scontro frontale con la proprietà non era negli interessi di quel
ceto di intermediari.
S. C’era sempre il rischio che il ceto dei proprietari si coalizzasse contro la mafia...
L. Almeno in teoria. Basterebbe, diceva Franchetti, che i proprietari agissero per dieci minuti
d’accordo tra di loro: mafia e brigantaggio non ci sarebbero più. Ma questo non succedeva, e non a
caso l’avvocato di Giammona, nel patrocinare il suo assistito, lo descriveva come un grande difensore
dei diritti della proprietà. E probabilmente non a torto. L’avvocato di Giammona e Galati ci
restituiscono due diverse rappresentazioni del problema.
S. Nella realtà le due rappresentazioni sono meno incompatibili di quanto sembrino...
L. Già, perché Giammona contemporaneamente difende i diritti della proprietà se i proprietari sono
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