Page 37 - Potere criminale
P. 37

feuilleton – scrive «I Beati Paoli», la storia di una setta di giustizieri incappucciati. Della leggenda di questi
          vendicatori, nascosti nei cunicoli sotterranei di Palermo, restava traccia nella tradizione orale, ma pure nel diario di
           fine Settecento del marchese di Villabianca e perfino nella toponomastica della città, dove ancora adesso c’è una
           piazzetta dedicata ai Beati Paoli. Il romanzo d’appendice, pubblicato a puntate sul «Giornale di Sicilia», ebbe un
          clamoroso successo di pubblico e in qualche modo fornì alla mafia la sua origine mitica...

          L.  Natoli  recuperò  una  tradizione  preesistente,  peraltro  già  legata  alla  mafia.  Bernardino  Verro,

          leader dei Fasci siciliani a Corleone, lasciò testimonianza di aver giurato alla mafia con il rito dei
          Beati Paoli (fu un errore di gioventù: Verro, a capo del movimento contadino di Corleone, avrebbe
           negli anni seguenti coraggiosamente contrastato i gabellotti mafiosi, fino ad essere da loro assassinato
           nel  1915).  Probabilmente,  la  storia  dei  Beati  Paoli  era  già  entrata  nell’armamentario  arcaicizzante
           della mafia...

           S. Leggiamo cosa dice il capo della setta dei Beati Paoli, nel romanzo di Natoli, per giustificare il proprio operato:

           «Un nobile può togliere al suo vassallo, solo perché è vassallo, le bestie, le armi, il cavallo, e il suo diritto glielo
          consente; questo stesso diritto manda sulla forca quel vassallo, se ardisce rubare una bica di frumento o un agnellino
           del padrone. E questa si chiama giustizia! [...] È la giustizia dello Stato: è la giustizia secondo le leggi scritte a
           beneficio dei più forti... Ma questa giustizia è la più mostruosa delle iniquità! La nostra non è scritta in nessuna
          costituzione regia, ma è scolpita nei nostri cuori: noi la osserviamo e costringiamo gli altri ad osservarla [...] Chi
          riconosce la nostra autorità? Nessuno. Chi riconosce in noi il diritto di esercitare giustizia? Nessuno. Ebbene, noi
          dobbiamo  imporre  questa  autorità  e  questo  diritto  e  non  abbiamo  che  un’arma:  il  terrore,  e  un  mezzo  per

          servircene:  il  mistero,  l’ombra.  Non  ci  nascondiamo  per  viltà,  ma  per  necessità.  [...]  Puniamo  e  vendichiamo
           l’offesa. Nessuno vede il braccio punitore, nessuno può dunque sottrarvisi... Questa è la nostra giustizia. Essa
          non ha punito mai un innocente, ed ha asciugato molte lagrime». Insomma, c’è tutta la retorica della mafia buona
          e cavalleresca.

          L.  La  società  segreta  è  l’unica  che  possa  amministrare  una  «giustizia  giusta»,  non  certo  quella
           ufficiale:  questo  è  il  punto  di  giunzione.  Il  romanzo  ambienta  la  sua  storia  in  un  momento  di

          transizione, cioè il passaggio dal vicereame spagnolo al breve reame di Vittorio Amedeo di Savoia,
          in qualche modo evocando la transizione che la Sicilia ha appena attraversato, passando dai Borbone
          al Regno d’Italia. Il romanzo di Natoli diventa la Bibbia della mafia, perché intreccia elementi del
           dibattito pubblico e immaginari, recepiti e rielaborati nei sotterranei del rituale mafioso. Quanto
           più antico, tanto meglio: spesso, infatti, ai Beati Paoli si sovrappone la rielaborazione fantastica dei
           Vespri siciliani. Entrambi i richiami ammiccano furbescamente all’orgoglio patriottico isolano. In

           pratica,  tutti  i  materiali  utili  vengono  usati  per  realizzare,  come  direbbe  Eric  Hobsbawm,
           «l’invenzione della tradizione».

























                                                                     37
   32   33   34   35   36   37   38   39   40   41   42