Page 32 - Potere criminale
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dai suoi informatori siciliani: non tanto la mafia esiste, quanto il «comportamento mafioso». Da qui
un errore interpretativo che, come abbiamo detto, è perdurato a lungo e fino a pochissimi anni fa.
S. Sicuramente inaccettabili erano però le conclusioni della sua indagine.
L. Franchetti sostenne che i siciliani erano tutti affetti dal comportamento mafioso, perfino nella
parte orientale dell’isola, dove pure – e lo sapeva benissimo – la mafia non c’era. Ne concluse che
uno Stato civile non dovesse valersi del contributo dei siciliani per amministrare la Sicilia. La
questione veniva portata così su un piano regionalista assai delicato in un’Italia postunitaria in cui le
élites dirigenti erano ancora in buona parte piemontesi o al massimo tosco-emiliane. Fu facile per i
membri della classe dirigente siciliana controbattere: questa «cosa» ve la inventate voi per continuare
a emarginarci. La controversia entrò così su un terreno minato, guadagnando alla mafia sostegni di
cui altrimenti non avrebbe potuto godere.
S. Il libro di Franchetti provoca infatti la reazione sdegnata dei ceti intellettuali siciliani.
L. Infatti. Ma la cosa interessante è che il paradigma mafioso si consolida nel momento in cui la
sinistra va al potere, quando i pregiudizi della destra «settentrionale» verso i siciliani e quelli delle
élites siciliane verso il governo sarebbero dovuti finire in soffitta. Il nuovo governo Depretis invita a
trasformare in processi penali le indagini che la polizia mette in piedi. Uno di questi procedimenti –
contro la cosca Amoroso di Porta Nuova – si conclude in primo grado con un gran numero di
condanne a morte. Altri processi, come quello agli stuppagghieri di Monreale, si concluderanno però
con una selva di assoluzioni. Ma nelle aule di giustizia, nelle arringhe degli avvocati difensori,
prende forma il paradigma mafioso. Spesso i legali sono anche importanti politici: è il caso del
crispino Antonio Marinuzzi, che attacca l’idea dell’associazione a delinquere come una montatura
della polizia per colpire i siciliani. Nel processo Amoroso la difesa sostiene la stessa tesi: il siciliano è
un popolo forse primitivo, forse violento, chiuso in una logica di clan, per cui reagisce malamente
all’offesa, ma proprio per questo non può parlarsi di associazione: l’associazione è un concetto
moderno, mentre il siciliano è un popolo antico.
S. Tesi difensive molto suggestive...
L. Ti racconto un episodio. Un avvocato difensore chiede al giudice che un testimone giuri sulla
memoria del padre. Il magistrato replica che il giuramento deve riflettere la formula di legge, ma il
difensore replica: non in questo caso, perché questa gente diversa rispetta e ha come unico valore la
famiglia, e solo giurando sulla memoria del padre il testimone dirà la verità. La richiesta,
stranamente, viene accolta dal giudice. Ebbene, siamo palesemente di fronte a una messa in scena.
Devi considerare che gli imputati erano accusati di aver ammazzato un cugino: parliamo insomma di
un delitto consumato all’interno della famiglia, lo stesso valore supremo cui si faceva appello. La
rappresentazione dunque tendeva a far risultare inverosimile l’accusa e nel contempo a determinare
un flusso di simpatia tra gli imputati e il pubblico: si sa, tutti rispettano la famiglia.
S. Un sistema sofisticato costruito per replicare alle accuse di associazione a delinquere attraverso la definizione di
un paesaggio culturale. Se ho ben capito, il concetto che la mafia non esiste, cioè il paradigma mafioso, viene
elaborato dopo che pubblicamente era già stata individuata e denunciata la mafia come organizzazione criminale?
L. Esatto. Si descrive la mafia come un fenomeno informale e subculturale, appartenente all’intera
Sicilia, di per se stesso non condannabile e per alcuni versi accettabile: questi primitivi in fondo
sono a loro modo onesti, e possono risultare perfino simpatici. In definitiva, rappresentano la
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