Page 31 - Potere criminale
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ritenne, non del tutto a torto, che si trattasse dell’ennesima legge eccezionale tesa a colpire il dissenso
          politico.  Nella  discussione  parlamentare  quasi  tutti  i  deputati  siciliani  sostennero  questa  tesi.  Si
          ricorda  l’intervento  di  Diego  Tajani,  deputato  di  sinistra  che  da  procuratore  generale  del  re  a
          Palermo  aveva  denunciato  la  sistematica  complicità  della  polizia  con  la  mafia,  al  punto  da
          incriminare il questore Giuseppe Albanese come mandante di un omicidio commesso da mafiosi.
           Nel discorso di un deputato siciliano di sinistra moderata come Filippo Cordova, si vede come la

           parte  migliore  della  classe  politica  siciliana  non  neghi  l’esistenza  della  mafia,  semmai  accusi  il
           governo di servirsene. Dopo il 1877 si apre il «peloso» dibattito sul libro di Leopoldo Franchetti.

           S. Abbiamo già accennato a Leopoldo Franchetti. Nel 1876-77 la sua inchiesta sulla Sicilia, firmata con Sidney
          Sonnino, sancisce ufficialmente non tanto la presenza della mafia, ma la sua natura sociale.

          L. Franchetti arrivando in Sicilia porta due cose nel suo bagaglio: una profonda adesione alla teoria
          liberal-moderata e i risultati di un decennio di discussione sui difetti del governo liberal-moderato

          in Sicilia – con la punta finale dello scontro parlamentare sulle leggi eccezionali. La mafia prende così
           nella discussione pubblica il posto centrale che manterrà per sempre – contrariamente a camorra e
           criminalità  organizzata  calabrese  (diciamo  pure  ’ndrangheta).  Franchetti  e  Sonnino  si  dividono  il
           lavoro:  il  primo  studia  i  problemi  politici  e  amministrativi,  il  secondo  la  questione  agraria  con
           particolare attenzione alla condizione contadina. Ti segnalo un particolare: fino a un trentennio fa la
           parte curata da Sidney Sonnino era considerata la più importante, in uno schema marxisteggiante
           che  privilegiava  il  tema  dei  rapporti  di  produzione.  Poi  le  cose  sono  mutate,  non  solo  per

          l’ingigantirsi del problema mafioso, ma per una maggiore attenzione ai temi etico-politici: oggi la
          sezione sempre citata dell’inchiesta è quella firmata da Franchetti.

           S. Il giovane Franchetti, nemmeno trentenne, riesce a dare una definizione abbastanza esatta della mafia, no?

           L.  Franchetti  parla  di  facinorosi  della  classe  media.  Ora,  intendiamoci:  la  classe  media  non  va
           considerata  nei  termini  odierni.  La  classe  media  è  quella  che  sta  a  metà  tra  il  proletariato  e

          l’aristocrazia,  quindi  una  classe  borghese  di  proprietari  terrieri.  Fin  dall’inizio  del  dibattito  sulla
           mafia,  quello  che  risulta  sconcertante  a  molti  osservatori  è  proprio  la  presenza  di  personaggi  di
           estrazione  sociale  elevata.  Tutto  il  dibattito  sulla  mafia  è  legato  al  tentativo  di  spiegare  questa
           particolarità, che sembra molto strana agli osservatori ottocenteschi, perché ritengono la criminalità
           un  problema  dei  ceti  sociali  inferiori.  I  funzionari  della  destra  storica,  già  prima  di  Franchetti,
           lamentavano  l’universale  corruzione  diffusa  in  Sicilia  in  tutti  gli  strati  sociali.  E  quando  iniziò  il
           dibattito sul manutengolismo – manutengoli erano i protettori di briganti e di mafiosi –, il termine

           veniva applicato sia al contadino che dava da mangiare al brigante sia al possidente che liberamente lo
           ospitava  in  casa.  Franchetti  spiegò  anche  che  certa  gente  faceva  fortuna  attraverso  il  delitto,  che
           esisteva  un’«industria»  del  delitto,  attraverso  cui  certi  soggetti  divenivano  parte  del  ceto  medio  o
           addirittura grandi possidenti. Franchetti disse: in antico erano i feudatari a gestire la forza, ma oggi la
          violenza si è «democratizzata», molti e diversi soggetti sociali la usano, mentre manca l’idea della
          superiorità della legge nei confronti dei singoli.

          S.  Tuttavia  la  mafia  descritta  nell’inchiesta  di  Franchetti  continua  a  essere  un  comportamento  sociale,  non

           un’organizzazione criminale vera e propria...

           L. In verità Franchetti – i suoi interlocutori lo informarono esattamente – riconobbe l’esistenza di
           fitte e strutturate organizzazioni, soprattutto nel Palermitano. Volle però inserire il problema in un
          contesto interpretativo più generale, e privilegiò un punto di vista che ugualmente gli veniva offerto



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