Page 30 - Potere criminale
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S. Turrisi è prodigo di particolari, nonostante in seguito sarà accusato di essere il capo della mafia. Non poteva
limitarsi a dire, come fecero altri, che la mafia non esisteva?
L. Questo è il punto. Nel 1864 non è ancora nato il «paradigma mafioso».
S. Il paradigma mafioso?
L. È una definizione di Paolo Pezzino. Il paradigma mafioso è un sistema mistificatorio che ha
consentito di dire, per molto tempo e da parte di molti, più o meno direttamente coinvolti in fatti di
mafia, che la mafia non esiste o che – se esiste – non si tratta di un’associazione criminale con questo
nome. Nel 1864 il paradigma non è stato messo a punto. Turrisi Colonna non nega l’esistenza di
un’organizzazione, anzi ne parla tranquillamente. Eppure non aveva torto chi lo indicava come
grande protettore di alcuni dei più pericolosi gruppi di mafia.
S. Se Turrisi Colonna non usa mai la parola mafia, però già un anno prima, nel 1863, qualcuno l’aveva messa
nel titolo di una commedia di grande successo: «I mafiusi della Vicaria» scritta da Giuseppe Rizzotto e Gaspare
Mosca, che si replicò centinaia di volte nei teatri di Palermo e di tutta Italia. La commedia è ambientata nella
prigione borbonica della Vicaria, alla vigilia dell’Unità d’Italia, e mette in scena la storia di un’organizzazione
criminale guidata da Gioacchino Funciazza, un artigiano che dentro il carcere impone il pizzo ai detenuti. Ma
quando in cella arriva l’Incognito, un detenuto politico, Funciazza, dopo averlo riconosciuto, si astiene dal fargli
pagare la tangente. L’Incognito spiegherà a Funciazza che una volta caduta la tirannide borbonica non ci sarà
più bisogno dei suoi sistemi criminali, ma basterà associarsi in società di mutuo soccorso per avere la difesa dei propri
diritti...
L. Nella commedia di Rizzotto e Mosca ci sono tutti gli elementi connotativi della mafia: la natura
criminale dell’organizzazione, la capacità di interpretare interessi diffusi non necessariamente
criminali, l’impressione (fallace) che si tratti di un fenomeno arcaico legato a un passato di
oppressione e l’auspicio che, in un’era di libertà, il popolo siciliano possa trovare forme più civili e
progredite per difendere i propri diritti. È una prospettiva «accomodante», ottimistica, non
mistificatoria né depistante.
S. Nella figura dell’Incognito è stato ravvisato il profilo di Francesco Crispi...
L. È possibile, perché Crispi era il grande leader della sinistra moderata postgaribaldina siciliana e
nazionale, l’esponente più prestigioso del nuovo ordine. La commedia indica le carceri come luogo
strategico, prima dell’Unità, per mettere in contatto detenuti comuni e politici, per realizzare
un’osmosi tra associazioni segrete rivoluzionarie e associazioni segrete criminali. I mafiusi della
Vicaria viene scritta e rappresentata nei primissimi anni dopo l’Unità, ma è ambientata nella fase
terminale del regime borbonico: racconta la transizione.
S. A un certo punto comunque la mafia è riuscita a costruire una narrazione di se stessa: ha saputo veicolare un
sistema leggendario di norme e regole; ha accresciuto una sua fama, più o meno sinistra, di potere e di forza; è
perfino riuscita a far condividere le proprie ragioni fondative da intellettuali e politici...
L. Quello che Pezzino ha definito il paradigma mafioso nasce dopo il 1875 nel corso dell’accesa
discussione pubblica sulle leggi eccezionali per la Sicilia che prevedevano la possibilità del governo
di sospendere le garanzie statutarie, lasciando mano libera alla polizia nelle zone infestate da
camorristi e mafiosi. In realtà, non c’era stato nessun peggioramento dell’ordine pubblico, ma si era
in vista di una svolta politica cruciale perché lo schieramento di destra era stato quasi battuto nelle
ultime elezioni dall’opposizione della sinistra di cui la Sicilia era caposaldo. La classe politica siciliana
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