Page 29 - Potere criminale
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non  esistessero  fenomeni  deteriori  definibili  come  mafia.  Ma  nessuno  li  definiva.  Con  l’Unità
           d’Italia, in relazione a concetti più civili, moderni e progrediti di vita sociale e di istituti giuridici,
           emerge lo scarto tra quello che ci si aspetterebbe, che dovrebbe essere e una realtà invece diversa – in
           questo strano e barbaro paese, (così appariva almeno ai continentali), che è la Sicilia.

           S. Questo vuol dire che prima del 1861 la mafia non esisteva? E allora il procuratore del re a Trapani come aveva
          fatto ad accorgersene?


          L.  Ti  ripeto:  in  età  borbonica  esistevano  già  situazioni  e  strutture  che  possiamo  definire  di  tipo
          protomafioso.  Va  detto  che  in  età  borbonica  si  affermò  comunque  il  concetto  francese
          dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e furono varate leggi antifeudali che sancirono la
           distinzione  tra  amministrazione  pubblica  e  proprietà  della  terra.  Abbiamo  insomma  un  contesto
           giuridico  e  amministrativo  moderno,  è  possibile  definire  situazioni  di  questa  natura.  Perché  si
          definisse fino in fondo il concetto e nascesse la parola mafia, mancava ancora qualcosa: la conclusione

          della stagione rivoluzionaria, l’affermarsi dell’idea di Stato rappresentativo costituzionale, la nascita di
           un dibattito pubblico libero.

           S. Dunque, prima che qualcuno dicesse che in Sicilia c’era la mafia, la mafia non aveva bisogno di definirsi. La
          mafia esisteva...

          L. Esisteva nelle cose.

          S. Ma se è vero che è l’antimafia a dare nome e quindi identità alla mafia, si può dire che ogni storia della mafia

          diventa, di fatto, una storia dell’antimafia?

          L.  Ma  dobbiamo  avere  chiaro  cosa  intendiamo  per  antimafia,  visto  che  allora  questo  termine,
           ovviamente, non era in uso.

           S. Se la mafia nasce sulla spinta dei movimenti rivoluzionari siciliani, a voler datare possiamo dire che siamo nel
           periodo compreso tra il 1821 e il 1861?

           L. Se proprio vogliamo usare delle date, per maggiore chiarezza, usiamo pure queste. C’erano in
           quel periodo gruppi armati, alle dipendenze dell’alta aristocrazia palermitana. I personaggi mobilitati

           alla violenza politica durante le stagioni delle rivoluzioni del 1821 o del 1848, elementi già collocati
           sul confine tra mondo politico e criminalità, furono chiamati dai loro protettori a gestire l’ordine nel
           periodo  del  passaggio  dei  poteri  dallo  Stato  borbonico  allo  Stato  unitario.  Ecco,  a  questo  punto
           possiamo parlare chiaramente di mafia: nasce nel periodo della transizione, e questo emerge dalle
           biografie di alcuni personaggi mafiosi in seguito coinvolti in inchieste e processi.

           S. Ma non siamo ancora arrivati alla definizione della parola mafia.

           L.  Nel  1864,  nei  suoi  Cenni  sullo  stato  attuale  della  pubblica  sicurezza  in  Sicilia,  Nicolò  Turrisi

           Colonna, componente del governo rivoluzionario nel 1849, in seguito senatore d’Italia e sindaco di
          Palermo, esponente della sinistra moderata, spiega benissimo il fenomeno. Il suo è il primo libro
           sulla mafia, anche se la parola mafia non vi compare. Turrisi racconta di una «setta» composta da ladri
          e contrabbandieri, la dice ordinata secondo le regole dell’«umiltà» (termine massonico poi corrotto
          dialettalmente in omertà), spiega che in essa le decisioni vengono prese da assemblee, che vi si entra

          per giuramento, che i suoi tribunali possono emanare condanne capitali. Nel 1860 la setta è stata
           usata a fini politici, continua Turrisi, ma nel 1864 bisogna fare i conti con questa realtà, a meno che
           il governo non adotti misure adeguate.



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