Page 47 - Potere criminale
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S. Tra le destinazioni dell’immigrazione italiana e siciliana c’erano anche il Sud America e alcuni paesi europei.
Come mai Cosa Nostra attecchisce e trova ragioni solo negli Stati Uniti e non altrove?
L. Perché in America, soprattutto nelle grandi metropoli della costa orientale, c’era già una
tradizione grande e importante di corruzione politica e di criminalità organizzata, spesso su base
etnica. Per questo lo specifico know-how dei mafiosi siciliani viene bene accolto e trova un ambiente
favorevole, che non trova in altre parti del mondo. L’immigrazione di per se stessa non provoca
mafia né criminalità organizzata di alcun tipo.
S. Negli Stati Uniti c’erano anche vuoti legislativi, norme di diritto diverse, una cultura giuridica molto
garantista rispetto alle libertà individuali e un capitalismo rampante...
L. Certo, una società diversa in cui non si concepivano tutti i meccanismi con i quali,
tradizionalmente, in Italia e nei paesi europei, si tenevano sotto pressione i criminali professionali.
Negli Stati Uniti non esistevano le misure «preventive», le polizie erano diverse, dipendenti dai
poteri politici locali e molto corruttibili. Basti pensare che l’Fbi fino al secondo dopoguerra non si
interessava al crimine organizzato. Brooklyn e Castellammare erano negli anni Venti realtà
diversissime ma – lo posso dire? – i malfattori che imperversavano sui due fronti erano favoriti in
entrambi i luoghi da enormi vuoti di statualità.
S. Eppure già trent’anni prima, ai tempi di Joe Petrosino, si era creata una squadra di investigatori italiani
incaricata di indagare negli ambienti criminali immigrati...
L. I poliziotti newyorkesi erano in grande maggioranza irlandesi. Negli anni della grande
immigrazione, quando succedeva qualcosa a Little Italy, si giravano dall’altra parte e dicevano: fate
voi. A un certo punto l’amministrazione civica costituì l’Italian Squad, nella quale emerse la figura di
Petrosino, che arrestò alcuni latitanti, risolse alcuni casi, proponendo una risposta razionale alle fobie
collettive verso l’immigrazione e la presunta vocazione criminale degli immigrati italiani. Le cose
tornarono a peggiorare quando Petrosino, impegnato in una missione «segreta» a Palermo per
individuare il percorso della misteriosa mafia, finì assassinato proprio nel luogo d’origine del
mostro.
S. Ma se Petrosino nel 1909 aveva già intuito i rapporti tra Italia e Stati Uniti, se aveva capito i meccanismi
fondamentali della criminalità italiana e in particolare siciliana, come mai l’esperienza sulla Mano Nera
dell’Italian Squad appena dieci anni dopo, cioè negli anni Venti, non viene usata contro la nascente Cosa Nostra
americana?
L. Perché i due fenomeni sono completamente diversi. La Mano Nera era un’attività estorsiva
interna comunque a una comunità italiana per nulla integrata, e nel complesso abbastanza miserabile.
Con la nascente mafia americana invece parliamo dei grandi affari del periodo proibizionista, del
labour racket, ovvero della penetrazione criminale nel mercato del lavoro. Molti italo-americani sono
in via di integrazione, c’è una «seconda generazione», le leggi proibitive sull’immigrazione hanno
eliminato il grande flusso dall’Europa. Ben altre possibilità si offrono ai fondatori di quella che sarà
chiamata quarant’anni più tardi la Cosa Nostra americana.
S. Insomma, la Mano Nera fioriva dentro il convulso e massiccio flusso degli immigrati, mentre la Cosa Nostra è
un’emigrazione di «cervelli» mafiosi, di ceti dirigenti del crimine...
L. Esatto: l’immigrazione mafiosa degli anni Venti è molto più qualificata, sotto il profilo criminale.
Tutta clandestina, è direttamente gestita dalle cosche palermitane e dei paesi circostanti. I mafiosi
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